Il 7 marzo 1975 usciva nelle sale italiane un film destinato a cambiare per sempre il volto del thriller: Profondo Rosso. Un’opera ipnotica e brutale, che ha segnato una svolta per il cinema di Dario Argento e aperto una nuova stagione per l’intero genere. E a cinquant’anni di distanza, continua a sorprendere e affascinare.
Ci sono film che si ricordano, poi ci sono film che si insinuano nella memoria. Profondo Rosso è uno di questi: non solo un capolavoro del brivido, ma un’esperienza sensoriale che ha ridefinito il linguaggio visivo ed emotivo del cinema italiano. Uscito in un decennio attraversato da forti tensioni sociali e culturali, in cui il cinema di genere diventava sempre più terreno di sperimentazione, il film di Dario Argento si impose come un punto di svolta e reinventò la formula del giallo all’italiana: è l’inizio di un’estetica che fonde thriller, horror psicologico, suggestioni pittoriche, architettura, psicoanalisi e musica rock. Un’opera che non si limita ad essere guardata: si attraversa e si subisce.
É l’opera in cui, dopo la trilogia dei suoi esordi – L’uccello dalle piume di cristallo, Il gatto a nove code e Quattro mosche di velluto grigio – Dario Argento compie un salto vertiginoso verso un’estetica più audace, visionaria. È un film che guarda al surrealismo, al gotico e persino all’arte contemporanea.
A proposito della trilogia, invece, una curiosità sul titolo del film: inizialmente, per continuare la sequenza “selvatica” dei titoli, Argento dichiarò che il titolo del film sarebbe stato “La tigre dai denti a sciabola”, per poi confessare che lo disse per “prendersi gioco della stampa”. Il primo vero titolo provvisorio fu Chipsiomega (l’unione delle ultime quattro lettere dell’alfabeto greco) e infine si decise per Profondo Rosso, viste le tinte primeggianti nelle scenografie, nella fotografia e il richiamo al sangue, ben presente nel film.

La realizzazione di “Profondo Rosso” è anche il momento in cui Dario Argento scopre un nuovo ritmo narrativo, più musicale. Non a caso segna l’inizio della leggendaria collaborazione con i Goblin – la band guidata da Claudio Simonetti – che ha lasciato un’impronta indelebile nella storia del cinema (e con i quali poi lavorò anche per altri film come “Suspiria”, “Tenebre” e “Phenomena”). La loro colonna sonora – nata in meno di dieci giorni – è un’esperienza sonora ipnotica, pulsante, che amplifica ogni tensione. Infatti se il film ha riscritto le regole del thriller, lo deve anche alla musica dei Goblin: non si tratta solo di un accompagnamento, ma è un vero e proprio personaggio invisibile, che vive, respira e incide sulla tensione dello spettatore.
La genesi di questa colonna sonora è quasi leggendaria. In origine, Dario Argento aveva chiesto ai Pink Floyd ma la trattativa non andò in porto. Si rivolse quindi a Giorgio Gaslini, celebre compositore jazz, ma qualcosa non funzionò: le musiche non restituivano l’atmosfera che il regista cercava e dopo varie discussioni, anche Gaslini abbandonò il progetto.. La produzione cercò allora qualcosa di nuovo, di spiazzante. Fu così che Claudio Simonetti e la sua giovane band – ancora sconosciuta e chiamata all’epoca Oliver – furono coinvolti nel progetto. Quando Dario Argento ascoltò le prime tracce, non ebbe dubbi: erano loro la voce sonora perfetta del film. Nacquero così i Goblin – nome suggerito dallo stesso regista – e con loro una musica che avrebbe rivoluzionato il rapporto tra suono e immagine nel cinema di genere. Il risultato è una partitura ossessiva, sperimentale, a tratti psichedelica, che fonde prog rock, elettronica e atmosfere gotiche. I brani dei Goblin non illustrano semplicemente le scene: le anticipano, le contaminano, le amplificano. Il tema principale, con il suo carillon inquietante e i suoi riff serrati, è diventato iconico quanto il film stesso.
L’impatto fu enorme: mai prima di allora la musica aveva avuto un ruolo così centrale in un film horror italiano. Fu così che si aprì la strada a un nuovo modo di concepire la colonna sonora, influenzando registi e musicisti per decenni. Tra l’altro, il disco fece vincere ai Goblin il Disco d’Oro e vendere oltre un milione di copie solo il primo anno, durante il quale rimasero al primo posto della classifica per 16 settimane consecutive.

Il film ebbe un successo immediato e clamoroso: fu il più visto in Italia nel 1975, sbancando i botteghini e consacrando Dario Argento anche a livello internazionale. In poco tempo diventò un cult, studiato, imitato, venerato. Molti registi internazionali lo hanno citato come fonte d’ispirazione diretta: John Carpenter, ad esempio, ne riprende l’uso inquietante delle musiche e la costruzione della tensione in Halloween; Quentin Tarantino, grande appassionato di Dario Argento, ha più volte dichiarato il suo amore per il film, citandolo nei dialoghi e nella messa in scena; infine Guillermo del Toro ha sempre riconosciuto in Argento un maestro dell’immaginario, capace di fondere poesia e terrore come pochi altri.
Ma anche nel panorama italiano, Profondo Rosso ha aperto la strada a una nuova ondata di cinema visionario e sperimentale. Film come La casa dalle finestre che ridono di Avati, o Buio Omega di D’Amato, portano evidenti echi dell’estetica argentiana. E negli anni Duemila, una generazione di nuovi autori – da Gabriele Mainetti a Luca Guadagnino – ha iniziato a riscoprire quel linguaggio, restituendogli centralità culturale.
Ma… per quei pochi che ancora non lo sapessero, che storia racconta il film?
Inizia a Roma, durante una conferenza sul paranormale, nella quale la sensitiva Helga Ulmann (Macha Meril) viene improvvisamente sconvolta da una presenza nella sala: afferma di percepire la mente disturbata di un assassino seduto tra il pubblico. Poche ore dopo, viene brutalmente uccisa nel suo appartamento da un misterioso individuo armato di mannaia. Il musicista jazz Marcus Daly (David Hemmings), un giovane inglese che vive in città, assiste casualmente all’omicidio dalla strada mentre si trova in piazza con il suo amico Carlo (Gabriele Lavia) e corre sul luogo del delitto, ma arriva troppo tardi. É sicuro però di aver visto qualcosa di importante sulla scena del crimine, un dettaglio che sfugge alla sua memoria, per cui decide di indagare per conto proprio, convinto che la polizia non riuscirà a risolvere il caso. Ad affiancarlo arriva Gianna Brezzi (Daria Nicolodi, che sul set ha conosciuto Dario Argento di cui diventerà poi la moglie), una giornalista intraprendente e ironica, che documenta l’indagine mentre tra i due nasce una complicità ambigua. Seguendo una scia di indizi, Marcus si addentra in una spirale sempre più inquietante fatta di quadri macabri, musiche infantili suonate da carillon, architetture misteriose e presenze evanescenti. Ogni traccia sembra riportare a un oscuro episodio del passato, sepolto sotto anni di silenzio. Il filo conduttore è una canzone per bambini, che sembra annunciare ogni omicidio e che Marcus scopre essere legata a una vecchia casa abbandonata nei pressi di Torino. Qui, esplorando le rovine, trova un affresco coperto da un muro, raffigurante un crimine dimenticato: un’ombra che impugna un coltello, un corpo riverso al suolo. Ma la scoperta lo porta sempre più vicino alla verità e al pericolo. Nel frattempo, altre morti si susseguono in modo sempre più brutale: ogni testimone che potrebbe fornire un tassello al puzzle viene eliminato. La mente di Marcus si fa ossessiva: c’è qualcosa che ha visto, ma non riesce a ricordare. Il colpo di scena finale arriva quando lui torna sul luogo del primo delitto e capisce finalmente cosa aveva notato quella notte…

Itinerario sulle location di Profondo Rosso
Il film è ambientato a Roma ma è stato girato per gran parte a Torino, città nota per la sua atmosfera esoterica, e che Dario Argento descrisse con una frase emblematica:
“Il luogo dove i miei incubi stanno meglio.”
Le riprese si svolsero in condizioni tutt’altro che semplici: alcune scene vennero girate di notte, con temperature rigide e ritmi serrati, mentre per altre furono necessari veri e propri stratagemmi artigianali per creare effetti speciali oggi emblematici.
Molte altre location del film si trovano invece a Roma, teatro dei primi successi del regista.
Ho costruito un itinerario per scoprire le location principali del film, visitando così anche angoli meno noti – ma non meno suggestivi – di entrambe le città.
Le location di Profondo Rosso a Torino

L’itinerario sulle location di Profondo Rosso a Torino dura circa 40 minuti a piedi (escludendo i tempi di sosta, foto, magari un caffè nella Galleria San Federico…) quindi è più che fattibile durante un viaggio, anche breve, nel capoluogo piemontese.
Prima tappa è il Teatro Carignano, luogo in cui nel film si tiene la conferenza della medium Helga Ulmann, e più antico teatro di Torino. Diventa un vero e proprio teatro nel 1716, dopo che Emanuele Filiberto di Savoia-Carignano (da qui il nome del Teatro) fece ampliare il piccolo locale che aveva acquistato tredici anni prima, ampliandolo e dotandolo di un palco, logge e un apparato decorativo. Inizialmente ospitava spettacoli privati per la famiglia reale ma dal 1719 iniziarono ad andare in scena i primi spettacoli aperti al pubblico. Nel 1786 un incendio lo distrusse completamente ma fu ricostruito, su progetto dell’architetto Giovanni Battista Ferroggio, in soli sei mesi e da allora è rimasto praticamente invariato.
É possibile visitarlo con l’evento “Scena Aperta” una serie di visite guidate da un gruppo di attori che raccontano aneddoti e curiosità dietro le quinte del teatro (qui trovate calendario e biglietti).


Si arriva poi alla Galleria San Federico. Nel film vediamo Marc e Carlo passeggiare nella galleria, nella scena in cui Carlo avverte Marc di lasciar stare le indagini. Inaugurata nel 1933, ospita la sede storica del giornale La Stampa e il Cinema Rex, all’epoca il più grande e moderno cinematografo di Torino. Il cinema esiste tutt’ora, ribattezzato Cinema Lux dopo la guerra e ristrutturato completamente nel 2004.
Tappa successiva è Piazza C.L.N. (che sta per Comitato di Liberazione Nazionale), dove Marc abita e in cui si svolgono molte scene importanti. Nella piazza è collocato anche uno dei luoghi più importanti del film: il Blue Bar, locale dove si esibisce Carlo e dove i due amici si incontrano spesso. Nella realtà il bar non esiste ed è stato costruito appositamente per il film e per rendere omaggio a Edward Hopper, pittore americano a cui il cinema è in parte debitore: i suoi tagli di luce, le scelte compositive, la cura per l’inquadratura, sono stati riprese in moltissimi film. In particolare, il bar di Profondo Rosso è ispirato al dipinto I Nottambuli (Nighthawks), del 1942: le ampie vetrate, il colore blu… perfino gli attori quando sono qui restano praticamente immobili per tutta la scena, proprio per richiamare il dipinto.
Esistono invece le due fontane gemelle che vengono inquadrate spesso nel film e che rappresentano il Po e il Doria.
La piazza è tristemente famosa anche per il lato più cupo del suo passato. Durante l’occupazione nazista infatti, proprio in questa piazza si insediò il comando della polizia di sicurezza tedesca, che scelse come sede l’elegante Albergo Nazionale. Qui, a partire dal 17 settembre 1943, giunse da Vienna il tenente delle SS Alois Schmid per guidare il distaccamento torinese di quella che era una delle più temute forze repressive del regime nazista, voluta da Heinrich Himmler nel 1936. L’albergo, requisito dai tedeschi, divenne tristemente noto come luogo di interrogatori brutali e repressione, dove operavano circa ottanta militari delle SS affiancati da collaboratori della Repubblica Sociale Italiana. Con la fine della guerra, l’edificio tornò alla sua funzione originaria di hotel, rimanendo attivo fino alla chiusura definitiva nel 2008.


Infine, la location più importante di tutto il film: Villa Scott, o meglio la Villa del bambino urlante. Situata in corso Giovanni Lanza, la villa è oggi proprietà privata di un gruppo immobiliare londinese, ma può essere ammirata dall’esterno.
All’epoca in cui Dario Argento doveva girare il film, la Villa ospitava le Suore della Redenzione e un collegio femminile. Quindi nasceva un problema: loro erano disposte a concedere la villa per le riprese, che durarono sette notti, ma dovevano trovare un posto in cui stare. Allora la produzione decise di pagare a tutte loro un bel soggiorno a Rimini!
Espressione della tipica eleganza torinese di inizio Novecento, l’edificio – opera di Pietro Fenoglio – è ricco di dettagli ispirati al Liberty: logge slanciate, bovindi ad arco, grandi vetrate e motivi floreali che impreziosiscono ogni angolo. L’ingresso principale è dominato da una scenografica scalinata curva, che ne esalta la raffinatezza. La villa fonde elementi del Liberty con accenti neobarocchi, quasi a voler richiamare l’eredità dell’architettura sabauda. Il risultato è un edificio eclettico e originale, che riflette sia le influenze italiane sia quelle internazionali.
Le location di Profondo Rosso a Roma
Il percorso a Roma sulle location di Profondo Rosso è piuttosto articolato, perché spazia da un punto all’altro della città (se vi trovate a visitare la Capitale per la prima volta, vi consiglio l’itinerario dedicato a Vacanze Romane), alcune scene sono riprese su strade anonime, palazzi privati, e molte delle scene principali sono state filmate all’interno degli Studi de Paolis di Via Tiburtina, tra cui la scena finale. Vi citerò perciò soltanto i luoghi che vale la pena visitare.
Il primo è il Mausoleo di Santa Costanza, utilizzato per la prima scena del film in cui si vede Marc alle prese con le prove del gruppo.
Costruito nel IV secolo d.C. come luogo di sepoltura per Costanza, figlia dell’imperatore Costantino, inizialmente apparteneva al complesso della vicina Basilica di Sant’Agnese fuori le mura, ed è uno degli esempi meglio conservati di architettura paleocristiana. La pianta è circolare, con una cupola centrale sorretta da un anello di colonne, e rappresenta uno dei primi esempi di mausoleo cristiano a pianta centrale. L’interno è famoso soprattutto per i suoi mosaici originali, alcuni dei quali presentano motivi pagani reinterpretati in chiave cristiana, come scene di vendemmia che potrebbero simboleggiare l’Eucarestia (e che per anni hanno fatto credere erroneamente che il luogo fosse un tempio dedicato a Bacco). Nel Medioevo il mausoleo fu trasformato in chiesa, e oggi, pur non avendo più funzione religiosa regolare, è visitabile e fuori dal complesso è conservato il cippo dedicato alle vittime della Breccia di Porta Pia.


Dalla Nomentana ci spostiamo all’Eur, al Museo Nazionale delle arti e tradizioni popolari, che nel film fa la parte della “Biblioteca del folklore e delle tradizioni popolari” dove Marc va a cercare tracce della Villa del Bambino Urlante.
Oggi parte integrante del Museo delle Civiltà, ospita numerose collezioni, nate dal lavoro dell’etnologo Lamberto Loria – a cui il museo era inizialmente intitolato – alla fine dell’Ottocento, le quali raccontano la vita quotidiana, i mestieri, i riti religiosi e le tradizioni delle diverse regioni italiane. Tra i reperti più interessanti si trovano costumi tradizionali, gioielli e amuleti, strumenti da lavoro, ceramiche, pitture su vetro, presepi storici (incluso uno napoletano del Settecento), oltre a migliaia di stampe, fotografie e materiali audiovisivi. Il museo è organizzato per temi — come “Vivere e abitare”, “Riti e feste”, “La terra e le risorse” — offrendo un vero e proprio viaggio nel tempo tra usanze, saperi artigianali e simboli della cultura popolare italiana.
Accanto alle esposizioni permanenti, il museo ospita regolarmente mostre temporanee che dialogano con il mondo contemporaneo, valorizzando artisti e opere che reinterpretano in chiave moderna le tradizioni del passato.

Infine, una piccola chicca.
Non si tratta di una location del film ma è strettamente legato ad esso e vale la pena visitarlo: il Profondo Rosso Store, il negozio aperto nel 1989 da Dario Argento in Via dei Gracchi 260.
Durante un viaggio a Londra, Dario Argento scoprì i Forbidden Planet, negozi che oggi chiamiamo “nerd” (e che io adoro, entro in qualunque negozio simile in qualunque parte del mondo), e ne rimase talmente affascinato da voler portare a Roma qualcosa di simile. Riuscì a realizzare il suo sogno nel 1989, con l’apertura del Profondo Rosso Store, un ritrovo per gli appassionati di horror e mistero, ma soprattutto per gli amanti del cinema di genere. Ci si trovano tantissimi libri legati ai film (molti dei quali potete trovarli solo qui), ai generi (anche qualcosa sul western), copioni ma anche gadget, action figure, maschere e molto altro. La vera chicca però è il museo che si trova sotto al negozio: Il Museo degli Orrori Dario Argento. Un piccolo museo (si visita in 10/15 minuti) dove il regista stesso ha ricostruito alcune scene dei suoi film più famosi – scritti o diretti – utilizzando anche le vere scenografie dei film. Vi ritroverete catapultati nelle scene di Phenomena, Opera, La Chiesa, Demoni e Demoni 2, La Sindrome di Stendhal e altri.
Un luogo talmente evocativo che perfino Tim Burton vi ha fatto visita!

