“In questi giorni di città ne ho visitate tante… ma la mia preferita è di sicuro stata Roma!”
Principessa Ann, Audrey Hepburn
Film imperdibile, itinerario imperdibile. Un tour sui luoghi di Vacanze Romane significa tante cose: rivivere gli anni ’50, vestire un po’ i panni di Audrey Hepburn e scoprire i luoghi più belli di Roma, tra quelli più famosi e quelli più insoliti.
Come dare torto a Audrey Hepburn, alias la Principessa Anna in Vacanze Romane, su quella frase su Roma?
Nel 1952 lei e Gregory Peck girarono uno dei film cult della storia del cinema tra le strade della città più bella del mondo. Talmente bella che la produzione decise di lasciare la pellicola in bianco e nero, nonostante all’epoca fosse già approdata la tecnologia a colori, per evitare che le location rubassero la scena alla storia d’amore tra i due protagonisti. Tra l’altro, all’epoca una delle cose che all’epoca colpì del film fu il fatto che venne girato interamente recandosi davvero a Roma e nulla fu costruito in studio. Vacanze Romane è infatti uno dei primi film di Hollywood girati interamente all’estero.
Entrambi i protagonisti rimasero affascinati dalla Capitale e senza saperlo hanno contribuito a costruire uno tra gli itinerari più belli per scoprire Roma.
Prima di raccontare tutto l’itinerario, lascio in link allla puntata del podcast “Itinerari di Cinema”, dedicata ai luoghi di Vacanze Romane, così potete ascoltarlo:
Iniziamo, come sempre, dalla trama del film.
La principessa Anna, reale di una nazione che non viene mai specificata, è impegnata in un viaggio diplomatico durante il quale visita le grandi capitali del mondo, tra cui Roma, città dove il film ha inizio. Sfinita dalla serie di obblighi che il suo ruolo richiede, ha un collasso nervoso e il suo medico le somministra un sedativo ma la principessa decide di fuggire e inizia a vagabondare per le strade di Roma. L’effetto del sedativo non tarda a manifestarsi e Anna si addormenta in una via, dove viene trovata da Joe Bradley, giornalista statunitense che lavora per un’agenzia di stampa a Roma. Joe cerca di farsi dare il suo indirizzo per accompagnarla a casa ma la principessa si rifiuta di confessare la sua identità e chiede di essere portata al Colosseo. Visto lo stato confusionale in cui versa, il giornalista la crede ubriaca e non ha il coraggio di lasciarla sola, così la porta a casa sua.
Il mattino seguente Joe vede la foto della Principessa Anna sul giornale e riconosce in lei la ragazza che ha ospitato a casa. Capisce di poter scrivere un articolo sensazionale e promette al suo capo di portargli un’intervista esclusiva e delle immagini della principessa a Roma. Chiama subito il suo amico e fotoreporter Irving Radovich, comunicandogli di avere per le mani un sensazionale scoop. Torna a casa, dove trova la principessa ancora addormentata. Al suo risveglio, la ragazza ricorda poco della notte precedente e Joe finge di non riconoscerla, così lei si presenta con il nome di Anya Smith. Dopo aver ringraziato per il disturbo, si avvia per le strade di Roma, comportandosi come una normale turista. Nel frattempo, però, Joe l’ha seguita di nascosto e quando Anna si siede sulle scalinate di Piazza di Spagna, il giornalista finge di incontrarla per caso. Iniziano a parlare e Anna confessa di essere scappata da un collegio e di voler provare, una volta nella vita, tutto quel che nella sua “prigione” non le è permesso fare. Joe le propone di accompagnarla e di esaudire il suo desiderio di “normalità”. Incontrano anche Irving, il quale inizia a fotografarla di nascosto. La principessa, in compagnia di quelli che lei crede due imprenditori, vive una giornata speciale e tutto viene fissato sulla pellicola di Irving. A fine giornata, la ragazza propone di trascorrere la serata su un barcone lungo il Tevere. Giunti lì, Joe e Anna iniziano a ballare e dai loro sguardi incomincia a trapelare un tenero sentimento reciproco. Durante la festa, però, alcuni agenti mandati dalla famiglia di Anna a cercarla, cercano di convincerla a tornare al palazzo. Joe interviene e si scatena una rissa che vede coinvolta la stessa Anna, mentre Irving documenta il tutto con la sua macchina fotografica. Joe e Anna riescono a fuggire tuffandosi nelle acque del Tevere (cosa che oggi non si potrebbe assolutamente fare) e, quando ne riemergono, divertiti ed eccitati dall’accaduto si baciano sulle sponde del fiume. Tornati a casa, i due sono costretti a salutarsi e dopo un triste addio, Anna scompare nelle vie di Roma. Rientrata a palazzo, mostra un profondo cambiamento: si è trasformata in una principessa conscia dei suoi doveri.
Il giorno seguente, Joe sostiene di non essere riuscito a ottenere l’articolo promesso e quando anche Irving arriva a casa sua con le foto in mano, Joe spiega all’incredulo amico di non voler più vendere lo scoop.
Il finale, come sempre, lo lascio alla visione del film. So bene che essendo molto vecchio chiunque dovrebbe già conoscerlo, ma non amo gli spoiler e ci fosse anche solo una persona in ascolto che non lo ha visto, non voglio venga a scoprirlo su queste pagine.
Itinerario di Roma sui luoghi di Vacanze Romane: le 10 tappe
Quali sono i luoghi che hanno fatto innamorare di Roma Joe e Anna? Potrei dire che qualsiasi angolo di Roma farebbe innamorare, ma concentriamoci su quelli del film, ben dieci tra i luoghi più belli e importanti di Roma. Un itinerario che ho scoperto anche insieme a Isabella Calidonna di Archeorunning, un’esperta e bravissima guida turistica, nonché runner professionista, che ha unito le sue passioni e ora accompagna altri runner alla scoperta della città più bella del mondo. Scopriamo insieme le dieci tappe!
1° tappa: Via Margutta
Partiamo da Via Margutta 51, la via più romana che c’è, e nel film la casa che ha ospitato Anna e Joe. Una casa che nasconde una bella storia.
Qui, negli anni ’50, aveva lo studio lo scultore Alcide Ticò, il quale viveva con pochi soldi e moglie e figlio da mantenere nell’Italia che ancora soffriva le macerie del Dopoguerra. Poi, un giorno, a quella porta bussarono Gregory Peck e William Wyler, regista del film. Dissero ad Alcide che stavano girando un film e che avevano bisogno proprio di casa sua. Lo scultore non ci pensò due volte e accettò immediatamente di dare in prestito il suo studio, proponendo anche di girare all’interno della sua abitazione al civico 33 della stessa via. Non poteva immaginare che quei suoi poveri spazi sarebbero diventati delle location cinematografiche tra le più famose al mondo, rendendo quella casa immortale. Alcide ebbe anche una piccola parte nel film, in cui interpretava sé stesso.
Nel corso degli anni poi gli artisti rimasti affascinati da questa strada sono stati moltissimi. Vi hanno abitato Anna Magnani, il pittore Giorgio de Chirico, Pablo Picasso e Federico Fellini, che la descrisse così: “Scale, scalette, corridoi che si aprivano fra gli orti, poi altre scale e scalette, un paesaggio verticale sommerso nel verde, fin sotto il viale di Trinità dei Monti”.
(Scusate se le immagini viste così grandi non sono il massimo, ma prendere i fotogrammi dei film non è semplice. Qui rendono meglio: https://www.instagram.com/p/CrfVACdIwG5/)
2° tappa: Piazza di Spagna
Proseguendo lungo Via Margutta, si arriva a Piazza di Spagna, altra celebre location di Vacanze Romane e di tantissimi altri film.
Qui Anna gusta un gelato sulla famosa scalinata e viene raggiunta da Joe, che finge di incontrarla casualmente dopo averla pedinata e la convince a fare dei giri per Roma insieme.
Su questa location sarebbero tantissime le cose da dire ma per ora mi limito a due.
La prima è sull’origine del nome: sapete perché si chiama Piazza di Spagna? A metà del 1600 la piazza era in realtà divisa in due triangoli: uno a nord e uno a sud. Il primo, a settentrione, denominato Piazza di Francia ospitava la sede dell’Ambasciata francese. Il secondo, a meridione, denominato Piazza di Spagna ospitava invece la sede dell’Ambasciata di Spagna presso lo Stato Pontificio e, dopo il 1870, presso la Santa Sede. Le due potenze rivali in questo modo si fronteggiavano simbolicamente e non. Ad oggi l’Ambasciata francese si è spostata a Palazzo Farnese mentre il palazzo dell’Ambasciata spagnola mantiene la sua originaria funzione di residenza ed uffici dell’Ambasciatore di Spagna presso la S. Sede, e così il nome della Piazza. Ma Piazza di Spagna è stata sede anche di un altro famoso scontro: quello tra Bernini e Borromini. Tra i due infatti c’era una fortissima rivalità e metà del loro lavoro sembrava consistere nel prendersi una rivincita sull’altro. In particolare a Piazza di Spagna Borromini ottenne l’incarico del Palazzo di Propaganda Fide alla morte di Papa Urbano VIII. Egli completò il lavoro con maestria e si concesse del tempo per fare un dispetto al suo rivale che abitava lì di fronte, decorando sia le finestre che lo stemma papale con delle enormi orecchie d’asino. Bernini partì subito al contrattacco scolpendo sul proprio terrazzo un gigantesco fallo. Gli interventip provocatori dell’uno e dell’altro vennero presto rimossi per motivi di decenza e decoro, ma rimangono tra i tanti aneddoti sulla loro rivalità, come quello della Leggenda di Piazza Navona, una leggenda romana secondo cui nel 1652 Borromini ottenne il compito di costruire la Chiesa di Sant’Agnese in Agone che si trova proprio di fronte la monumentale Fontana dei Quattro Fiumi. Egli fece del suo meglio ed impiegò tutto il suo talento nel tentativo di far sfigurare il collega, che si vendicò scolpendo la fontana in modo che la statua che rappresenta il Rio della Plata sembrasse spaventata dalla chiesa di Sant’Agnese in Agone, opera di Borromini. Infatti, se osservate attentamente la scultura, vi accorgerete che porge le mani in avanti come se avesse paura che la chiesa possa crollare da un momento all’altro. Per lo stesso motivo, la statua del Nilo avrebbe la testa velata, per non vedere l’orrore della facciata. Ovviamente è solo una leggenda, ma si sa che le leggende si basano sempre su qualcosa di fondato (e a proposito di statue, conoscete le statue parlanti di Roma?).
Torniamo a Piazza di Spagna è alla seconda curiosità che voglio raccontarvi. Alla destra della scalinata, c’è il palazzo che viene chiamato “La Casina Rossa”. La proprietaria era un tempo Anna Angeletti, che era solita affittare camere ai turisti. Tra i tanti che vi soggiornarono ci furono anche il poeta inglese Keats e il pittore Severn i quali ospitarono per un periodo anche Shelley. Nel 1906 la Casina Rossa fu acquistata dalla Keats-Shelley Memorial House, fu restaurata e dal 1909 è un museo e una biblioteca aperta al pubblico (6€ costo del biglietto intero). Un luogo affascinante che vale la pena di essere visitato e di cui parlerò più approfonditamente.
3° tappa: Fontana di Trevi
Il percorso continua verso la Fontana di Trevi, altro simbolo di Roma. Però ci soffermiamo soprattutto su Via della Stamperia, una via laterale dove si trova il famoso barbiere che tagliò, per davvero, i bellissimi capelli di Audrey Hepburn e che oggi non esiste più. Molti anni prima però, quella stessa bottega si rese protagonista, suo malgrado, di un’altra curiosità: se ci fate caso, proprio di fronte quella che era un tempo la bottega del barbiere, sulla Fontana di Trevi si trova una statua che stona particolarmente con tutto il resto: l’Asso di Coppe. Facciamo un salto indietro nel tempo al 1732, quando l’architetto Nicola Salvi doveva costruire la Fontana di Trevi (o meglio, rendere monumentale la semplice mostra dell’Acqua Vergine). Durante la costruzione, chi abitava o lavorava da quelle parti era solito osservare l’avanzamento dei lavori. In particolare, il barbiere ci teneva a dire sempre la sua all’architetto, criticando di continuo il suo lavoro. Per tutta risposta, Nicola Salvi fece costruire di fronte la sua bottega quella statua a forma di Asso di Coppe – o di boccetta per la schiuma da barba che si usava un tempo – in modo da coprirgli la visuale e non permettergli più di vedere i lavori. A mali estremi…
4° tappa: il Pantheon
Arriviamo poi al Pantheon, che, come tutti gli altri posti, non ha bisogno di presentazioni. Qui Joe e Anna si siedono al tavolino dello storico caffè Rocca per fare colazione con champagne e caffè freddo e incontrare l’amico fotografo di Joe che inizia a scattare foto di nascosto. Il caffè oggi esiste e al suo posto c’è un negozio di abbigliamento.
Parlando invece proprio del Pantheon, sembra sia stato costruito nel punto in cui Romolo ascese al cielo durante una cerimonia, interrotta da un nubifragio. E anche se non è visibile ad occhio nudo, l’intera struttura del Pantheon è una sfera perfetta. Infatti la misura della sua altezza è pari a quella del diametro. Sul suo punto più alto si trova l’Oculus, grazie al quale luce e calore entrano nella struttura. Ma non serve solo a questo: l’Oculus è stato costruito secondo precisi calcoli per far sì che durante il solstizio d’estate a mezzogiorno il fascio di luce che penetra illumina il portale d’accesso. Inoltre, nel corso delle giornate di sole i raggi girano all’interno della struttura accompagnando le ore del giorno.
Un’ultima cosa: ci sono alcune leggende che legano il Pantheon al maligno. Una riguarda proprio l’Oculus e racconta che in antichità era sigillato con una grande pigna di bronzo che i diavoli avevano trasportato a Roma, e che quando papa Bonifacio consacrò il Pantheon come chiesa, gli spiriti maligni fuggirono dall’oculus, portandosi dietro la pigna. L’altra riguarda invece la cupola: si diceva fosse stata costruita dal maligno perché troppo grande per essere fatta da mani umane. Infatti, è la seconda cupola più grande al mondo, superata solo da quella del Duomo di Firenze. Infine, una leggenda riguarda il piccolo fossato che circonda il Pantheon. Si narra che satana stesse aspettando una ricompensa dal mago Pietro Bailardo. Questi lo pagò con quattro noci e si rifugiò nella chiesa. Il diavolo infuriato per il torto subito sprofondò nelle viscere della terra creando quel solco.
5° tappa: la Bocca della Verità
Settima tappa del tour è la Bocca della Verità, dove si svolge la scena più simpatica del film, che non era neanche prevista dal copione. Gregory Peck voleva fare uno scherzo a Audrey Hepburn e, poco prima dell’inizio delle riprese, Peck riferì al regista William Wyler che avrebbe preso in prestito una gag dal famoso comico Red Skelton: avrebbe tenuto la mano nascosta nella manica mentre la tirava fuori dalla bocca della scultura per spaventare la Hepburn. Wyler accettò e non lo disse alla Hepburn che, avendo da poco appreso la leggenda della Bocca della Verità, era davvero spaventata. La sua reazione nel film è così genuina e spontanea perché la scena piacque così tanto al regista che decise di includerla nel montaggio finale.
La Bocca della Verità è uno dei simboli più famosi di Roma, che risale al regno di Tarquinio il Superbo, (l’ultimo dei sette re di Roma. Il grande tondo ha un diametro di circa 1,80 metri ed era probabilmente una copertura fognaria della Cloaca Maxima, un grandioso canale di drenaggio che partiva dalla Suburra, attraversava una parte dell’attuale Rione Monti, il Foro, il Velabro, il Foro Boario e infine il Tevere. Era dotato di coperture fognarie in marmo, poste a breve distanza l’una dall’altra e decorate con bassorilievi. Tra questi c’era il famoso disco di marmo con le fattezze di un volto maschile con barba, occhi, naso forato e bocca, che probabilmente rappresentava Giove, un fauno o una divinità fluviale.
Parlando sempre di leggende, che non mancano mai, il nome “Bocca della Verità” è nato nel 1485 ed è legato ad una leggenda medievale che tutti conoscono, secondo la quale la bocca poteva tagliare la mano ai bugiardi. La tradizione era diffusa tra i mariti gelosi, che portavano le mogli al monumento: dopo aver introdotto la mano, le donne dovevano dichiarare di non aver commesso adulterio. Come in tutte le leggende, c’è anche un fondo di verità: a volte, dietro la maschera della Bocca della Verità, si nascondeva un boia, pronto a tagliare la mano a chi veniva ritenuto colpevole di mentire. Sapete come finì questa leggenda? Grazie all’arguta giovane moglie di un nobile romano, che fu sorpresa dai vicini di casa nel ricevere frequenti visite da un amante mentre il marito era fuori città per lavoro. Una giorno il marito, senza lasciarsi commuovere dalle lacrime della donna, decise di chiedere una prova pubblica alla Bocca della Verità: mentre si recavano al monumento, un giovane si fece largo tra la folla e tra lo sconcerto generale si avvicinò alla moglie dell’uomo, l’abbracciò e la baciò sulla bocca davanti a tutti e immediatamente è stato portato via a forza dalla folla. Quando tornò la calma, la presunta adultera si avvicinò con orgoglio alla pietra e infilando la mano nella bocca della statua pronunciò questa frase: “Giuro che nessun uomo mi ha mai abbracciato e baciato, tranne mio marito e quel giovane demente!”. La mano rimase intatta, la bocca non si chiuse e non morse, il marito perdonò la moglie e la folla esplose in un tripudio. La donna scaltra che era riuscita a trovare, insieme al suo amante, un espediente infallibile per ingannare tutti, compresa la stessa Bocca, non sapeva di aver così riportato la pietra al suo millenario e nobile silenzio.
6° tappa: il Colosseo
Arriviamo alla sesta tappa, il Colosseo, il simbolo di Roma per eccellenza, una delle 7 meraviglie del mondo. Gregory Peck e Audrey Hepburn ci passano davanti nel loro giro in Vespa e si fermano per una breve visita.
Il nome originale del monumento è in realtà Anfiteatro Flavio… infatti nel film “Il Gladiatore”, uno dei tanti errori storici è proprio questo: all’epoca dei romani il nome Colosseo non esisteva. Arrivò molto tempo dopo, nel Medioevo. Secondo la teoria più accreditata questo nome gli fu dato perché costruito nei pressi della statua del “colosso” di Nerone che sorgeva a pochi metri. Altri dicono che derivi dalla posizione, perché sorgerebbe su un colle dove un tempo si trovava un tempio di Iside, da cui Collis Isei. Infine, esiste anche una leggenda legata a questo nome oggi imponente, secondo la quale il Colosseo era anticamente un tempio pagano dove si adorava il demonio e alla fine di ogni cerimonia i sacerdoti chiedevano agli adepti: “Colis Eum?” (“Adori lui?”). Personalmente, preferisco credere alle prime due, anche se nel Medioevo era convinzione comune che il Colosseo fosse abitato da spiriti maligni e considerato il luogo più adatto per incantesimi e rituali. Lo testimonia anche Benvenuto Cellini nella sua biografia, dove racconta di essersi recato una sera nell’Anfiteatro insieme a un prete e a un negromante per fare un rito i cui ingredienti erano cerchi disegnati sulla sabbia, pentacoli, canti, aspersione di profumi e un “fanciulletto vergine”.
A proposito del Gladiatore, sapete che il film non è stato girato all’interno del Colosseo ma a Malta, in una copia costruita per l’occasione? Ridley Scott provò a chiedere il permesso al Comune di Roma per le riprese ma gli fu negato perché all’epoca era in restauro. Alcune male voci dicono che fu il regista a cambiare idea, non trovandolo “telegenico”… ma come si può credere ad una chiacchiera simile?
7° tappa: i Fori Imperiali
Ci spostiamo ai Fori Imperiali, a pochi metri dal Colosseo. Qui – precisamente vicino l’Arco di Settimio Severo – è dove avviene il primo incontro tra Joe e Anna, il luogo in cui lei si abbandona su una panchina sotto l’effetto del sedativo e Joe la scambia per un’ubriacona, decidendo di aiutarla.
Per gli antichi romani il Foro era tra i luoghi più importanti in assoluto. Qui fu sepolto Romolo sotto il Lapis Niger, la pietra su cui si trova la più antica iscrizione latina mai trovata, e fu cremato Giulio Cesare, nel tempio in rovina dove ancora oggi le persone lasciano fiori e omaggi al cittadino più famoso di Roma. Nel Foro vivevano anche le Vestali, le sacerdotesse che avevano il compito di tenere acceso il fuoco di Vesta… e guai a farlo spegnere! Ad esso era legato il destino di Roma e chi osava farlo spegnere veniva severamente punito. Inoltre, sempre nel Foro si riuniva il Senato e veniva conservato il tesoro della Repubblica Romana, all’interno del Tempio di Saturno, dio della ricchezza.
8° tappa: Palazzo Brancaccio
Arriviamo alle ultime due tappe, le più insolite di questo percorso: Palazzo Brancaccio e la Galleria Colonna.
Partiamo da Palazzo Brancaccio: si tratta dell’ultimo palazzo del patriziato romano, costruito nel 1880. Una residenza unica nel suo genere, in elegante stile barocco, nata grazie all’eredità americana: fu commissionata dal principe Salvatore Brancaccio e dalla moglie Elizabeth Hickson Field, dama di compagnia di Margherita di Savoia e ricca ereditiera newyorkese che portò in dote un milione di dollari. La nobildonna aveva acquistato dal Comune di Roma nel 1879 la chiesa, il convento, l’orto e anche il giardino delle Clarisse Francescane di “Santa Maria della Purificazione”, beni assegnati al demanio comunale in seguito alla soppressione delle congregazioni religiose dopo l’Unità d’Italia. Queste proprietà comprendono anche la Torre di Mecenate, la stessa da cui, secondo la leggenda, Nerone nell’estate del 64 d.C. avrebbe osservato estasiato l’incendio di Roma da lui stesso appiccato. La residenza nasconde anche tunnel e corridoi sotterranei che conducono a Castel Sant’Angelo e San Pietro, e molte altre leggende e segreti.
La facciata della residenza contrasta con i sontuosi interni, che colpiscono il visitatore per la ricchezza dei dettagli. L’effetto era certamente voluto e la ricerca di un’ostentata opulenza era dettata all’epoca dal desiderio di esprimere la propria ricchezza economica, il proprio lignaggio, nonché il buon gusto personale nella scelta degli arredi. I soffitti affrescati furono realizzati da Francesco Gai, accademico di San Luca e ritrattista di famiglia. Gli interni del Palazzo sono un trionfo barocco di specchi, velluti rosso carminio e stucchi. Celebre è il Salone di Gala, con un balcone che corre lungo il perimetro della sala e soffitti alti quattordici metri finemente decorati con stucchi e putti. Ma il vero gioiello del Palazzo è la splendida Galleria degli Specchi: una sala decorata su entrambi i lati da pareti specchiate e dorate, un omaggio glorioso e sontuoso alla Reggia di Versailles.
Nel film, si può vedere il palazzo in diverse scene: all’inizio, quando la principessa Anna fa il suo ingresso alla presenza di altri nobili, la sala del trono, la sala da ballo, la stanza della principessa e la balconata che attraversa per scappare dai suoi doveri.
Palazzo Brancaccio oggi è una location per matrimoni e feste di lusso e può essere visitato solo prenotando una visita guidata scrivendo a: palazzobrancaccio@palazzobrancaccio.com
9° tappa: Galleria Colonna
Lascio la Galleria Colonna per ultima, perché anche nel film è il luogo che fa da sfondo all’ultima scena, quando la principessa Anna torna alla sua vita reale e decide di incontrare la stampa per l’ultima volta a Roma.
La Galleria si trova all’interno di Palazzo Colonna, uno dei più sontuosi e imponenti palazzi privati di Roma – dove tuttora risiede la famiglia Colonna – costruito su fondamenta antiche e medievali nel corso di cinque secoli, e che sorge sui resti del tempio di Serapide, è un inno allo splendore e alla storia della famiglia Colonna (in particolare del suo membro più famoso, Marco Antonio Colonna, vincitore della battaglia di Lepanto), una delle più antiche famiglie patrizie romane.
La visita guidata (la mia straordinaria guida è stata Sara Pietrantoni di 365giorni a Roma, consiglio vivamente di prenotarla per un tour) vi porterà a visitare gli appartamenti più belli e prestigiosi del palazzo per ascoltarne la storia e le storie e ammirare l’arte e le decorazioni di cui sono ricchi. Poi passerete attraverso gli splendidi giardini per trovare una suggestiva vista su Roma.
Infine, c’è la Galleria, la vera meraviglia dell’intero itinerario di visita. Autentico gioiello del barocco romano, fu commissionata a metà del ‘600 dal cardinale Girolamo I Colonna e da suo nipote Lorenzo, e fu concepita come una grande sala di rappresentanza per celebrare degnamente la vittoria della flotta cristiana sui turchi nella battaglia di Lepanto del 1571.
Non posso dimenticare lo stupore che ho provato entrando nella Galleria: la luce, i marmi, le opere d’arte… tutto è un pezzo di un puzzle perfetto che crea una delle cose più belle che abbia mai visto. Percorrendo lo spazio monumentale della “Sala Grande” si possono ammirare gli affreschi sul soffitto, rappresentativi di MARCANTONIO II Colonna e della Battaglia di Lepanto. Alle pareti si possono ammirare specchiere dipinte con vasi di fiori e putti, statue antiche, tavole monumentali a muro, dipinti del XVI e XVII secolo. Proprio in questo punto, sulle scale che portano alla Sala Grande, c’è una piccola curiosità che riguarda il film: sulla scaletta c’è una palla di cannone sparata dal Gianicolo dall’esercito francese quando Napoleone conquistò Roma. Si trova nello stesso punto in cui allora fermò la sua corsa. È stata momentaneamente rimossa solo una volta da quando si trova lì: durante le riprese di Vacanze Romane.
10° tappa: Viale del Policlinico
Questa è in realtà una “tappa bonus”, più lontana dalle altre tappe dell’itinerario, ma è praticamente l’unica che oggi non esiste più. Si tratta delle mura Ex Voto di Viale del Policlinico.
Il 19 marzo 1944, proprio qui di fronte avvenne un attacco. Da un documento del Ministero dell’Interno:
“Un convoglio tranviario della linea n. 8 è stato colpito in pieno; molti morti e vari feriti. Il fabbricato n. 269 all’angolo di viale Regina Margherita con via Giovanni Battista Morgagni è stato danneggiato. Dalle macerie è stato estratto un ferito. Una bomba inesplosa è rimasta nello stabile. Danneggiati gli stabili ai civici 288 e 292.”
Un sopravvissuto appese sulle mura l’immagine della Madonnina del Divino Amore come ringraziamento per la Grazia ricevuta e da allora sulla parete si sono aggiunti migliaia di ex voto, probabilmente legati prima ai bombardamenti stessi e poi al vicino ospedale del Policlinico. Vennero rimossi nel 1959 in occasioni delle Olimpiadi e spostati al Santuario del Divino Amore. Anche il sottostante marciapiede oggi non c’è più.
Joe (Gregory Peck) racconta ad Audrey la storia, per spiegarle il significato di quelle mura particolari: “Cominciò durante la guerra. Gli aerei mitragliavano là, Un uomo e i suoi quattro piccini passavano per questa strada e si addossarono contro il muro per cercare scampo. Pregarono la Madonna. Le bombe caddero vicine e loro rimasero illesi. In seguito l’uomo tornò qui e pose la prima delle lapidi, e da quel giorno divenne una specie di santuario.”