L’Aquila, una città sfregiata


Per festeggiare il Capodanno 2012, dopo varie avventure siamo riusciti ad andare in Abruzzo, sulla neve.
Il paese in cui c’era il nostro b&B, Isola del Gran Sasso d’Italia, si trovava in un paesino con poco o niente da vedere, ma che era un perfetto punto d’appoggio per visitare i dintorni: il santuario di San Gabriele, Prati di Tivo per la neve, Teramo e L’Aquila. E poi dalla finestra del b&b avevamo una meravigliosa vista sul Gran Sasso, guardate:

L'Aquila - vista
Il Bed&breakfast ve lo consigliamo caldamente, è un appartamento molto ampio, con due camere, due bagni, un grande salone con angolo cottura e terrazzo… economico, e le proprietarie sono state gentilissime e disponibilissime!
Eccovi il sito: http://www.sorelletatulli.it/Sorelle_Tatulli/Il_luogo.html
In questo post però vogliamo parlarvi solo de L’Aquila. Decidiamo di andarci l’ultimo giorno, prima di rientrare a Roma, il 1 Gennaio.
Arriviamo in città in macchina, e già la strada che la precede è un preambolo a quello che ci aspettava: paesaggi meravigliosi imbiancati dalla neve, contornavano case crollate, spezzate, rovine di quello che era una volta, appena tre anni prima. Alla periferia della città però il paesaggio cambia, sembra una città come tante. Parcheggiamo la macchina, ed iniziamo a girare il centro a piedi.
E’ qui che ci rendiamo conto delle condizioni in cui riversa la città, e che ci prende un nodo allo stomaco. I palazzi sono tutti sotto “messa in sicurezza”, pieni di impalcature esterne e puntellati. Le macerie sono ancora lungo le strade, gli edifici crollati sono rimasti così, come quel giorno, ferite aperte in una città distrutta. All’interno, ci sono solo polvere e cocci. Alcune strade e vicoli sono completamente chiusi, con i cartelli “Zona rossa” in bella vista, che fermano il passaggio e lo sguardo. Siamo gli unici a camminare per quelle strade, ed il silenzio totale rende la vista ancora più angosciante.
Angosciante perchè sai cosa è accaduto, e non puoi fare a meno di pensarci, trovandoti davanti gli occhi quelle scene. La basilica col tetto crollato, nella piazza principale, ha ormai solo le mura esterne, è come se un buco nero avesse risucchiato l’interno e il soffitto. E intorno ancora le macerie, per strada.
Ciò che ci ha sconvolto più di ogni altra cosa, è stata la vista di una casa in particolare. Un palazzo che aveva la metà completamente crollata e a separarci dalle macerie solo delle reti di ferro. Sotto quelle macerie, vediamo una lavatrice, degli abiti, oggetti di uso quotidiano e familiari. I tesori di ogni casa, sepolti e pieni di polvere, fermi là da quel lontano giorno di tre anni fa. Come se qualcuno, tra le macerie, avesse congelato il tempo a quel momento orribile. Guardando più su, vediamo il corridoio della casa, la parte del muro che dava all’esterno completamente crollata, e una porta che da sul nulla, su quelle macerie crollate, una casa spezzata a metà, così come spezzate a metà sono state tante delle vite degli Aquilani, anche dei sopravvissuti; i loro sogni, i loro desideri, le loro speranze. Quella porta, aveva accanto una parte di muro ancora parzialmente sano, e capiamo che doveva essere il muro di un bagno: vediamo le mattonelle verdi e lo scarico, attaccati al muro ma sospesi sopra le macerie, poggiati sul nulla. E su quel muro, in quella stanza divisa a metà, c’era anche un termosifone, di quelli alti, a muro, che si trovano spesso negli alberghi… un termosifone con ancora un accappatoio appeso sopra. Il tempo lì si fosse fermato in quell’attimo, a ricordo di quel gesto semplice che chissà chi aveva fatto magari ogni sera, per chissà quanto tempo, e lo aveva ripetuto anche quel giorno, poco tempo prima che la forza della natura distruggesse anche quelle abitudini. Un simbolo chiaro di come tutto possa cambiare in un istante, un gesto quotidiano che tutti noi compiamo ogni giorno, rimasto impresso là, per tre anni e per chissà quanto tempo ancora, come a dire che nessuno sapeva, che a tutti può capitare, un gesto che unisce L’Aquila che era, bloccata in quella singola immagine, a L’Aquila che è, rappresentata dalle macerie là sotto.
Poco dopo siamo dovuti andare via, lasciare la città, perchè le sensazioni erano davvero troppo forti.

Un abbraccio a tutti gli aquilani, un abbraccio col cuore, e non perdete le speranze.

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