Può un museo riuscire a commuovere? Sì, può eccome, soprattutto in America, dove sanno raccontare e mostrare come in nessun’altra parte del mondo. Ci è successo in diversi luoghi e musei ma la visita del National Civil Rights Museum è particolarmente toccante.
Ospitato all’interno del Lorraine Motel, il motel in cui venne ucciso il Dr. Martin Luther King il 4 aprile 1968, il National Civil Rights Museum è un vero e proprio racconto interattivo della storia dei diritti civili in America e delle lotte per conquistarli. Un racconto fatto di documenti, lettere, giornali, filmati, registrazioni audio o video dell’epoca, foto, storie, leggi, proteste e la camera, ben preservata, dove Martin Luther King, leader della lotta per i diritti civili, passò i suoi ultimi istanti di vita. Si descrivono come “The greatest Civil Rights Story Ever Told” – la più grande storia dei diritti civili mai raccontata – e mai descrizione fu più azzeccata.
Come sempre però, andiamo con ordine.
National Civil Rights Museum a Memphis: la storia del Lorraine Motel e l’omicidio di Martin Luther King
Il Lorraine Motel nasce al 450 di Mulberry Street nel 1925, col nome di Windsor Hotel, che poi cambiò in Marquette Hotel fino al 1945, anno in cui venne messo in vendita. Fu acquistato da Walter Bailey lo stesso anno e rinominato Lorraine Motel in onore della moglie di Walter, Loree, e della canzone “Sweet Lorraine” di Nat King Cole. Al momento dell’acquisto l’hotel comprendeva solamente un bar e gli alloggi dei Bailey. Fu solo dieci anni dopo, nel 1955, che venne completata la costruzione del vero e proprio hotel sul lato est, contenente 16 camere, a cui ne vennero aggiunte successivamente altre 12. Era uno dei pochi hotel in cui i viaggiatori afroamericani potevano pernottare durante gli anni della segregazione e delle leggi Jim Crow, venendo nominato anche nel famoso “Green Book”.
All’hotel venne aggiunto, sempre grazie ai lavori di rinnovamento dei Bailey, l’accesso con le auto e un ampio parcheggio, la piscina e ampie finestre frontali, cambiamenti che trasformarono l’hotel in un motel. Il nuovo design rifletteva lo stile Googie – ben rappresentato dall’insegna del Lorraine, con la sua cornice turchese, l’ovale giallo e i cerchi bianchi – ispirato all’era spaziale, molto popolare nella California degli anni ’50 e ’60.
Negli anni acquistò una certa fama e gli ospiti, di ogni razza e colore, tornavano più volte a soggiornarvi, grazie alla sua atmosfera raffinata, i pasti fatti in casa, i prezzi accessibili e la reputazione di ambiente pulito e sicuro. Tra la fine degli anni Quaranta e l’inizio degli anni Sessanta il Lorraine Motel ospitò gli artisti della Stax Records e altre celebrità nere, tra cui Ray Charles, Lionel Hampton, Cab Calloway, Aretha Franklin, Ethel Waters, Nat King Cole, Otis Redding, The Staple Singers, Wilson Pickett, Louis Armostrong, Sarah Vaughn e Sam Cooke. Tra l’altro due famose canzoni, “The Midnight Hour” di Wilson Pickett e “Knock on Wood” di Eddie Floyd, furono composte proprio al Lorraine.
Lo stesso Dr. Martin Luther King, insieme ad altri leader della comunità nera e della lotta per i diritti civili, vi soggiornò ogni volta che si recò a Memphis, compresa quella fatidica volta nel 1968.
Il Lorraine Motel è stato dichiarato sito di interesse storico dalla Tennessee Historical Commission. Nel 1984 è stata fondata la Lorraine Civil Rights Museum Foundation e nel 1991 venne aperto il National Civil Rights Museum, rinnovato poi nel 2014.
Dal 1991, il museo ospita annualmente, ogni ottobre, il Freedom Awards, premio che onora le persone che hanno avuto il maggior impatto nella battaglia per i diritti – umani e civili – nel mondo.
Martin Luther King, nato ad Atlanta il 15 gennaio 1929, è stato un pastore protestante afroamericano leader del movimento per i Diritti Civili. Si è sempre battuto in prima linea, predicando la resistenza non violenta, cosa che lo portò a ricevere diverse minacce di morte. Dopo l’assassinio di JFK avvenuto il 22 novembre 1963, il Dr King disse alla moglie che la stessa cosa sarebbe accaduta a lui.
L’11 febbraio 1968, King si recò a Memphis per supportare i lavoratori sanitari afroamericani che organizzarono uno sciopero di protesta contro le pessime condizioni in cui erano costretti a lavorare. Vi tornò poi il 3 aprile, per un incontro al Mason Temple, in cui pronunciò il breve, inaspettato, discorso “I’ve been to the mountaintop”, che potete ascoltare qui. Il giorno successivo restò a Memphis per un altro incontro e, come faceva ogni volta che si recava nella città del Blues, alloggiò al Lorraine Motel, nella stanza 306, ribattezzata “Suite King Abernathy” per le numerose volte che lui e il reverendo Ralph Abernathy, altro leader attivista del movimento per i Diritti Civili, vi avevano soggiornato. E pensare che questa volta, all’inizio gli avevano assegnato la camera 202, perché la 306 era occupata…
Le ultime parole che Martin Luther King pronunciò furono per l’amico e musicista Ben Branch, a cui chiese di non dimenticare di cantare “Take My Hand, Precious Lord” durante l’esibizione che avrebbe avuto quella sera stessa. Subito dopo si affacciò dal balcone della sua stanza del Lorraine Motel e alle 18:01 un proiettile calibro 30, sparato da un fucile da caccia, lo colpì alla guancia.
I funerali si svolsero il 9 aprile e il suo epitaffio recita: “Free at last”. Finalmente libero.
National Civil Rights Museum: l’esposizione e la visita
Superata la biglietteria, ci si imbarca subito nel racconto della storia degli Afroamericani negli Stati Uniti, partendo dalle origini, e della loro lotta per ottenere i diritti civili. Come tutti i musei americani, ha il merito di lasciarti sentire la storia come se la stessi vivendo in prima persona. Io stessa ho provato tristezza, rabbia, frustrazione, mentre la storia e le ingiustizie perpetrate per decenni si dipanavano sotto i miei occhi. Ma ho anche esultato e provato fierezza davanti ai racconti di tutte quelle coraggiose persone che non ci sono state, hanno alzato la voce e si sono ribellate, per conquistare quella dignità e quei diritti che dovrebbero spettare a chiunque, senza disuguaglianze.
“This is the story of a people, of hopes and dreams, of challenge and change. It is an american story.
This story and struggle that started many centuries ago continues today – with you.”
“Questa è la storia di un popolo, di speranze e sogni, di sfide e cambiamenti. È una storia americana. Questa storia e questa lotta, iniziata molti secoli fa, continua oggi – con te.” Così recita un pannello all’inizio della visita ed è la descrizione più rappresentativa dell’intero percorso di visita: una storia fatta di lotte, sogni, speranze, ferite e cambiamenti, iniziata secoli fa ma che continua ancora oggi, con tutti noi.
La visita inizia dalla galleria intitolata “A culture of resistance” , nella quale si racconta la tratta degli schiavi nell’Atlantico, l’arrivo negli Stati Uniti, già a partire dal 1619, e come essi venivano valutati e venduti proprio come fossero semplice merce e non esseri umani. Famiglie divise, uomini picchiati, donne stuprate: un racconto dell’orrore che per moltissime persone è stata realtà.
Si cammina sopra alle mappe dell’America del Nord e del Sud, dell’Africa e dell’Europa, dove sono tracciate le rotte della tratta atlantica, con tanto di statistiche e l’impatto sul mondo di questo mercato.
Dopo la galleria inizia tutta la parte che racconta la storia della segregazione e le lotte per la libertà e l’uguaglianza: “Combating Jim Crow, 1896-1954”.
Qui si accenna anche ad una storia molto meno conosciuta: quella dei Buffalo Soldiers. Si tratta di afroamericani che sceglievano di andare a servire nell’esercito degli Stati Uniti, arruolandosi per una misera paga di 13$ al mese, più alta di quella che comunque avrebbero ricevuto in qualunque altro lavoro, e per trovare più dignità nelle condizioni di vita rispetto a quelle che offriva loro la vita civile.
Nel 1866, il Congresso istituì sei reggimenti interamente neri per aiutare a ricostruire il Paese dopo la Guerra Civile e per combattere nella Guerra delle Pianure: per fare spazio ai coloni che migravano verso ovest, compresi i neri, il governo federale sottrasse terre ai Cheyenne-Arrapaho, agli Iowa, ai Creek, ai Kiowa, ai Kickapoo e ad altre tribù. È da uno di questi reggimenti, il 10° Cavalleria, che nacque il soprannome Buffalo Soldiers. Gli indiani delle pianure che combattevano contro questi soldati si riferivano alle truppe di cavalleria nere come “soldati bufalo” per via dei loro capelli scuri e ricci che ricordavano il manto di un bufalo e per la loro natura feroce nel combattere. Il soprannome divenne presto sinonimo di tutti i reggimenti afroamericani costituiti nel 1866. Come scrisse un uomo di colore nel 1894: “… l’intero territorio indiano verrà inghiottito dall’uomo bianco. Molti… uomini neri, li stanno aiutando a inghiottirlo.”
Una curiosità: i Buffalo Soldiers sono stati anche i primi custodi dei Parchi Nazionali. Tra il 1891 e il 1913, l’esercito degli Stati Uniti fu l’amministratore ufficiale dei parchi nazionali di Yosemite e Sequoia. I soldati erano di stanza al Presidio di San Francisco durante i mesi invernali e poi prestavano servizio nella Sierra durante i mesi estivi. Nel 1903, il capitano Charles Young guidò una compagnia di Buffalo Soldiers nei parchi nazionali di Sequoia e General Grant (oggi Sequoia e King’s Canyon). Young e le sue truppe riuscirono a completare più miglioramenti infrastrutturali di quelli dei tre anni precedenti.
Il percorso continua con il racconto della nascita della musica Blues – la musica nata nel Deep South dalla rabbia degli schiavi – il Jazz e il Rock’n’Roll, delle leggi Jim Crow e gli anni della segregazione. Attraverso documenti dell’epoca e storie, viene raccontata com’era la vita della comunità nera all’epoca e come siano riusciti lo stesso, nonostante la segregazione, ad emergere in tutti i campi: religione, istruzione, stampa, arti e intrattenimento.
Ma chi/cosa era Jim Crow?
Si tratta di un personaggio teatrale, inventato e interpretato da Thomas D. Rice, uno degli intrattenitori e menestrelli più famosi dei suoi tempi (anni quaranta e cinquanta del 1800). Jim Crow era una rappresentazione stereotipata degli afroamericani e della loro cultura: Rice si dipingeva la faccia di nero, imitava l’accento del Sud e cantava e danzava imitando lo movenze degli schiavi, indossando un cappello malconcio, pantaloni strappati e vestiti consumati. Nessuno sa bene la storia dell’origine di questa idea di Rice ma la più probabile è che lui ha osservato per anni le movenze e il modo di parlare della gente di colore, essendo cresciuto in un quartiere di Manhattan dove l’integrazione era all’avanguardia rispetto al resto d’America. E mentre era impegnato in un tour negli Stati del Sud, vedendo gli schiavi ballare e cantare, ha avuto l’idea di far nascere Jim Crow.
Col tempo, dopo la morte di Rice, il nome Jim Crow iniziò ad essere usato in modo dispregiativo per le persone di colore.
Molto intensa è anche la sala “Separate is Not Equal”, la mostra in una replica di un’aula di tribunale che illustra la battaglia legale per eliminare la segregazione dalle scuole, e la storica vittoria della causa Brown vs Board of Education of Topeka, Kansas, quando la Corte Suprema dichiarò incostituzionale la segregazione nelle scuole.
Troverete poi la ricostruzione dell’autobus di Rosa Parks, dove potrete salire a bordo per vedere una statua di lei in bronzo, seduta al suo posto, e ascoltare l’autista che le urlò contro. Ci sono poi ricostruzioni di sit-in studenteschi del 1960, che si opposero pacificamente alla segregazione scegliendo l’azione non violenta.
Colpisce molto la parte “We are Prepared to Die”, che racconta la Freedom Rides del 1961, quando attivisti pacifisti si organizzarono per protestare contro la segregazione del sistema di autobus interstatali nel Sud. La ricostruzione dell’autobus devastato dalle fiamme racconta l’attentato di Anniston, in Alabama, il giorno della Festa della Mamma, quando il bus che trasportava Freedom Riders venne violentemente attaccato da un gruppo di uomini bianchi comandati da un membro del KKK. Ed è solo uno dei tanti esempi delle violente ritorsioni che i Freedom Riders incontrarono.
A conclusione del percorso si trova la parte che racconta le ultime ore di Martin Luther King, che mostra la stanza 306, perfettamente conservata come quando ne era ospite, e i resoconti e le testimonianze dei suoi ultimi giorni di vita.
Ho sempre creduto nel potere di imparare la storia per cambiare il futuro, penso quindi sia fondamentale visitare i luoghi reali in cui persone reali hanno vissuto tutto questo sulla loro pelle, per creare empatia e una maggiore comprensione. Per questo il Civil Rights Museum di Memphis andrebbe visitato almeno una volta nella vita: la memoria è il nostro insegnante più prezioso e non si può che trarre ispirazione dalle storie di tanti uomini e donne coraggiose che hanno combattuto per una giusta causa, per ottenere ciò a cui avrebbero sempre avuto diritto.
National Civil Rights Museum: info utili
Chiuso il martedì, aperto tutti gli altri giorni dalle 9 alle 17.
Il biglietto costa 20$ a persona, gratis sotto i 4 anni e ridotto a 18$ per gli over 65 e a 17$ tra i 5 e i 17 anni. É raccomandata la prenotazione online del biglietto.
La visita dura circa 1 ora e mezzo (ma come dico sempre, dipende dal tempo che spendete a osservare/capire/studiare).
Grazie al National Civil Rights Museum e a Visit Memphis, per avermi supportata con estrema disponibilità in questa visita.