Tour sulle location di Gran Torino a Detroit: un giro nei sobborghi della città

Diretto e prodotto dal mitico Clint Eastwood, un film che vede come co-protagonista – in un certo senso – una storica automobile Ford, non poteva che essere ambientato nella Motor City (con anche il vantaggio delle agevolazioni che offre il Michigan per chi sceglie di girare da loro). Scoprire le location di Gran Torino a Detroit significa anche andare alla scoperta della periferia della città, fuori dai classici circuiti turistici.

Quello che ossessiona di piu un uomo è cio che non gli è stato ordinato di fare.”
Walt Kowalski

Walt Kowalski, veterano della Guerra di Corea ed ex operaio della Ford, vedovo e in pensione, si dedica principalmente al suo passatempo preferito: la sua Gran Torino del 1972 (auto che ora appartiene davvero a Clint Eastwood, l’ha tenuta dopo il film per la sua collezione personale), che custodisce gelosamente nel garage della sua casa nella periferia di Detroit, in un quartiere dove vivono principalmente immigrati asiatici di etnia Hmong.
Pieno di pregiudizi, stereotipi e disprezzo verso gli altri, Walt detesta i suoi vicini di casa e il suo carattere lo fa odiare facilmente. Ha un pessimo rapporto anche con la sua famiglia: figli e nipoti sono più attaccati alle sue richezze che a lui. Odia anche padre Janovich, il giovane pastore che insiste nel convincerlo a confessarsi, come gli chiese di fare la moglie di Walt prima di morire.
Una sera, i suoi vicini finiscono per litigare anche nel suo giardino con una gang di teppisti e Walt riporta l’ordine sotto la minaccia del suo fucile, gesto che agli occhi dei vicini appare come un atto coraggioso e di valore, compiuto in difesa di una famiglia debole sottoposta a continue vessazioni. Per ringraziarlo, la famiglia gli invia dei doni che Walt getta via, ma qualche giorno dopo, quando vede la giovane Sue, la figlia della sua vicina, minacciata da tre afroamericani, la difende mettendoli in fuga ed entrando definitivamente nelle grazie della comunità Hmong e della famiglia di Sue e Thao, i suoi vicini. Thao però, costretto dalla gang che li aveva minacciati, tenta di rubare la Gran Torino di Walt ma viene beccato e come punizione la famiglia lo obbliga a servire Walt per una settimana. Una convivenza forzata che fa aprire gli occhi a Walt e gli fa scoprire come i valori in cui crede si ritrovino più in Thao e la sua famiglia che nei suoi figli e nipoti. Così si affeziona e trova un lavoro al ragazzo, ma alla gang questo non sta bene e aggrediscono Thao, che viene vendicato dallo stesso Walt. La gang non ci sta e attacca la casa di Thao, ferendo il ragazzo e sequestrando e violentando la sorella, Sue. Walt fatica a trattenere la rabbia e stavolta la sua vendetta sarà organizzata in modo che la gang non potrà fuggire alla giustizia.

Un film che per Clint non è stato affatto di facile realizzazione – considerando anche che la produzione fu interrotta quando ebbe un infarto – ma il gran lavoro fatto gli è valso i maggior guadagni al box office della sua carriera (270 milioni di dollari), oltre a un premio come miglior attore dal National Board of Review e svariate nomination: per il Critics’ Choice Awards e dai Chicago Film Critics Association Awards come miglior attore, ai Golden Globe è stata nominata la canzone originale del film, “Gran Torino” (interpretata da Jamie Cullum) come Best Original Song, per l’Art Directors Guild come miglior film del cinema contemporaneo. Infine, fu inserito tra i dieci migliori film dell’anno dall’American Film Institute.
Tutto questo, nonostante Clint Eastwood sia l’unico attore famoso nel film. Alcuni avevano già fatto piccoli ruoli alla TV o nel cinema, ma la maggior parte sono esordienti scelti nella comunità Hmong di Detroit, Fresno e Saint Paul: queste ultime due città ospitano infatti le comunità Hmong più grandi degli Stati Uniti.
Alcuni di loro non conoscevano nemmeno bene l’inglese ma tutti hanno definito Eastwood un “insegnante paziente” che ha dato loro tanti suggerimenti utili, insegnando le basi della recitazione (e chiunque abbia avuto a che fare con lui sul set ne parla bene, desrivendolo come umile e alla mano). Un piccolo aneddoto a proposito: Bee Vang (Thao) ha raccontato che dopo aver finito le prime riprese, si aspettava un commento dal regista ma lui non disse nulla. E così ogni altra volta. Solo poco dopo, chiedendo, scoprì che se Clint non faceva commenti, allora era andata bene e la performance era stata soddisfacente.

Nonostante la poca preparazione degli attori e il ritardo iniziale dovuto alla salute del regista, le riprese sono state concluse nei tempi previsti, tanto che il film fu girato in soli 33 giorni, due giorni in meno rispetto a quelli programmati. A quanto pare, Clint è famoso proprio per rispettare non solo i tempi previsti delle riprese ma anche per rientrare abbondantemente nel budget. Sembra che le perdite di tempo e soldi sul set siano l’unica cosa che lo fa davvero infuriare.

Una curiosità sulla canzone del film: nei titoli di coda si vede Thao nella Gran Torino guidare lungo l’autostrada insieme a Daisy, il labrador di Kowalski. Facendo attenzione, ci si rende conto che è proprio Clint Eastwood a cantare la canzone Gran Torino, di cui ha anche scritto la musica. I crediti ufficiali dei testi della canzone vanno a Clint Eastwood, Jamie Cullum, Michael Stevens e Kyle Eastwood (figlio di Clint), mentre la colonna sonora riporta solo Jamie Cullum e un certo Don Runner… cercando Don Runner non viene fuori nulla ma con ricerche più approfondite si scopre che Runner era il nome della mamma di Clint. Probabile quindi che Don Runner non sia altro che uno pseudonimo di Clint… o della sua voce!
Cantare deve piacergli molto, perché lo ha fatto in diverse occasioni: Paint Your Wagon (1969), Two Mules for Sister Sara (1970), Kelly’s Heroes (1970), The Beguiled (1971), Bronco Billy (1980), Any Which Way You Can (1980), Honkytonk Man (1982) e Midnight in the Garden of Good and Evil (1997).

Gran Torino e la rappresentazione della cultura Hmong

Dato il tema trattato nel film, mi sembra doveroso parlare delle critiche (nessun film ne è immune, come qualunque altra cosa che viene data in pasto al pubblico) sulla rappresentazione della cultura Hmong.

La sceneggiatura del film è stata scritta da Nick Schenk (lo stesso sceneggiatore di The Judge e The Mule).
All’inizio degli anni ’90, Schenk lavorava in una fabbrica a Blomington, in Minnesota, e lì conobbe la storia e la cultura Hmong, stringendo amicizia con molti di loro. Anni dopo, decise di sviluppare una storia su un veterano della Guerra di Corea, vedovo, che doveva affrontare i cambiamenti nel suo quartiere. Collocò una famiglia Hmong nella porta accanto, appositamente per creare uno scontro culturale.
Ogni sera, mentre si trovava al Grumpy’s, un bar di Minneapolis, con carta e penna si dedicava a scrivere questa sceneggiatura e ricorda di aver scritto venticinque pagine in una sola notte. Quando la fece leggere ad alcuni addetti ai lavori gli dissero che una storia con protagonista un anziano razzista non poteva essere venduta nè raccontata al cinema. Storia che invece piacque a Bill Gerber della Warner Bros e a Clint Eastwood, il quale riuscì a girarla grazie alla posticipazione delle riprese di Invictus. Alla fine, Clint dichiarò che quello in Gran Torino è stato un “ruolo divertente e stimolante” e di “aver apprezzato l’idea di affrontare il tema del pregiudizio, di non essere mai troppo vecchio per imparare”.

Questa premessa per parlare più nel dettaglio del tema principale del film: lo scontro culturale. Kowalski assiste al cambiamento del suo quartiere – Highland Park, dove è ambientato il film, girato anche in altre zone di Detroit – dove i vecchi vicini americani se ne vanno, sostituiti da nuove famiglie asiatiche. Kowalski è un anziano razzista, legato a parecchi pregiudizi sulla religione e sulle altre culture, burbero, dai comportamenti duri e, a volte, contraddittori, ma proprio grazie ai suoi vicini capirà che con l’amicizia e la comprensione può arrivare il cambiamento che fa bene, a sé stessi e agli altri. Nel film tutto è raccontato con la crudezza della realtà, non c’è nulla di politically correct ed è proprio questo che è piaciuto a Clint Eastwood, il quale dichiarò in una intervista:

“Mi piace essere politicamente scorretto perché penso che la correttezza politica sia un po’ noiosa. Voglio dire, parli con persone che camminano sempre su gusci d’uovo ed è un po’ noioso.”

Gran Torino è il primo film americano di massa ad avere come protagonisti gli Hmong. Per rappresentare al meglio la loro cultura, la produzione si avvalse di consulenti e staff appartenenti alla comunità e lascio libera improvvisazione agli attori per tradurre le frasi della sceneggiatura dall’inglese alla loro lingua natìa. Inoltre, Schenk ha avuto il contributo degli Hmong durante la stesura della sceneggiatura finale e della consulente culturale Dyane Hang Garvey per consigli sulle tradizioni della popolazione.
Nonostante questo, le critiche al film e alla rappresentazione di questa cultura non sono state poche. Perfino Vang, l’attore che interpreta Thao, in un’intervista (che vi linko qui per completezza, anche se in inglese) ha dichiarato che la cultura Hmong non aveva nessuna rilevanza particolare nella storia, che venivano confusi con altre etnie asiatiche e che sul set venivano esclusi e trattati diversamente, lamentandosi anche del fatto che la mancata sottotitolatura di alcune frasi dette in Hmong ha dato alla gente una percezione distorta della popolazione. Sull’accuratezza della rappresentazione della loro cultura ha però dichiarato che “Il film non è un documentario, non ci si può aspettare una rappresentazione accurata al 100%, ma il ritratto che ne viene fuori è generalmente corretto”.

Come in tutti i film, alcune cose sono state esagerate per la drammatizzazione della storia, anche se i consulenti della cultura Hmong hanno provato ad aggiustare, le imprecisioni e le distorsioni rimaste nel film sono diverse: le scene cerimoniali sono rese in modo esageratamente esotico, non è vero che si offendono se una persona li tocca sulla testa (solo a volte, se lo fanno gli estranei… ma essere toccati da estranei a chi non dà fastidio?), non indossano gli abiti tradizionali ai funerali come mostrato nel film, non masticano noci, la cerimonia del sacrificio del pollo nella realtà sarebbe meno drammatica e cerimoniale, la cerimonia Hu Plis è rappresentata con alcune inesattezze, i dialetti sono usati in modo incoerente, non usano i favori come metodo di espiazione e non riempiono di regali in segno di gratitudine, non sono aggressivi verso gli altri clan nè commetterebbero violenza contro un membro dello stesso clan.

Insomma, come sempre non prendete tutto quello che si vede sullo schermo come un racconto della realtà, perché il cinema ha bisogno anche di romanzare e drammatizzare, di esigenze di sceneggiatura… di cui la realtà non ha bisogno!

Secondo me, accuratezza culturale a parte, il film trasmette un messaggio importante: gli stereotipi sono stupidi e la discriminazione si abbatte con la conoscenza, andando incontro all’altro e non creando muri. Tutto sta nella metamorfosi di Walt: parte con un profondo disprezzo per gli asiatici, di cui si alleggerisce, fino a liberarsene del tutto, quando inizia a conoscerli e frequentarli, scoprendo che il razzismo non è altro che ignoranza.

Itinerario sulle location di Gran Torino a Detroit: un giorno alla scoperta della periferia della Motor City

Come accennavo prima, il film è ambientato nella zona di Higland Park, ma è stato girato anche a Grosse Pointe e Royal Oak, tutte zone nella periferia di Detroit. La storia originale del vedovo Walt Kowalski e della comunità Hmong era ambientata a Minneapolis, ma Clint Eastwood ha ritenuto che il passato di Kowalski come operaio automobilistico rendesse la Motor City lo scenario perfetto… e come dargli torto? In più c’erano le agevolazioni del Michigan, tornava tutto!
Ho creato l’itinerario dividendolo per zone. E’ fattibile in una mezza giornata ma consiglio di approfittarne per visitare anche attrazioni vicine (come la Ford House a Grosse Pointe o il Ford Piquette Avenue Plant ad Highland Park), così da ottimizzare i tempi.

Location di Gran Torino a Grosse Pointe, Detroit

La scena iniziale del film si svolge nella chiesa cattolica di St. Ambrose (Hampton Street, Grosse Point), dove Walt Kowalski partecipa al funerale della moglie. Una chiesa imponente – come il maestoso organo a 2400 canne che ospita – e di costruzione recente: la prima messa qui fu celebrata la viglia di Natale del 1927. La sua architettura è stata lodata dalla rivista American Architecture Magazine per la sua attenzione ai dettagli, ristrutturati proprio grazie ai soldi ricevuti per fare parte del film.

Nella scena iniziale del funerale, quando la cerimonia sta per finire si vede un’anziana signora camminare lungo la navata con l’aiuto di un bastone: si tratta di Bernice, una residente del posto che durante le riprese fu invitata da una sua amica, segretaria della chiesa, ad assistere. Clint Eastwood la notò subito, definendola “bella e sorprendente” per la parte che aveva in mente e la volle nel film proprio per quella scena. Un bel modo per iniziare la carriera di attrice!

St. Ambrose fu anche teatro di una simpatica scenetta: il vero parroco della chiesa, Padre Tim, aveva un poster del precedente film di Clint, “Unforgiven”Gli spietati”. Poco prima dell’inizio delle riprese per la scena del confessionale con Kowalski e il prete, Tim attaccò il poster alla parete del confessionale, alle spalle dell’attore che interpretava il sacerdote (Christopher Carley). Quando la tenda del confessionale si aprì, Clint Eastwood, seduto dall’altra parte, vide il poster e si fece una risata, prima di dire che avrebbero dovuto toglierlo.

Ci spostiamo al 15020 di Kercheval Avenue, dove si trova il negozio Pointe Hardware&Lumber (nel film C.M. Young Hardware&Lumber), un luogo importante nel film perché è dove Walt e Thao iniziano a stringere amicizia facendo spesa insieme. Il luogo dove Walt inizia inconsciamente a capire che doveva spogliarsi dei pregiudizi.

Durante le riprese di questa scena, una folla di curiosi e fan si formò dalla parte opposta della strada: erano tutti in attesa di scorgere Clint Eastwood. Quando lui se ne accorse, interruppe le riprese e si avvicinò con gentilezza ai fan per firmare autografi e scattare qualche foto. Una disponibilità che si trova raramente!

Spostandoci di 1 km e mezzo, si arriva al 13140 di Charlevoix Street, il punto in cui Walt vede la gang infastidire Sue e la salva, facendoli scappare via.
Arriviamo poi da Artona Tailoring, al 17834 Mack Avenue. Nella realtà oggi è diventata una pizzeria ed è molto poco riconoscibile rispetto al film. Qui, nella sartoria, Walt si fa cucire su misura il suo vestito – il sarto che si vede nella scena è il vero proprietario del negozio – in una delle scene finali del film.

Il giro a Grosse Pointe si conclude lungo Lakeshore Drive, la strada che costeggia il lago St. Clair, che Thao percorre sulla Gran Torino nella toccante scena finale del film.

Location di Gran Torino a Warren, Royal Oak e Highland Park, Detroit

Spostandosi verso la zona est della periferia per raggiungere Royal Oak e Highland Park, si incrocia prima Centerline, dove si trova un’altra location del film: è il Veterans of Foreign Wars Richard Menge Post No. 6756, il bar locale dove Walt discute con Padre Janovich e, seduto sui gradini della veranda all’inizio del film, beve una Pabst Blue Ribbon (che potete ordinare nel vero bar e berla nello stesso punto).

Prossima tappa è Royal Oak, al 204 West 11 Mile Road, dove si trova(va) il Widgreen’s Barber Shop (nel film è Martin’s Barbershop). All’epoca delle riprese del film era un vero barbiere ma chiuso i battenti poco dopo. Martin è il barbiere – italiano – preferito di Walt e appare in più di una scena. Porta qui anche Thao per insegnargli come “parlano i veri uomini”.

Il tour si conclude ad Highland Park, per vedere le case vicine di Walt e Thao, al 238 di Rhode Island Street (case private, perciò se andate usate la massima educazione e il rispetto per gli altri, come raccomando sempre).
Nella prima scena in cui si vede la casa, Walt è seduto nel portico accanto al suo cane, Daisy, un labrador giallo. Quando provarono a girare la scena la prima volta, l’addestratore mise il cane accanto a Clint, che lo osservò commentando che era molto bella. Si piegò verso di lei per accarezzarla e tirandole dei baci. Lei ricambiò subito, saltandogli addosso e iniziando a leccargli la faccia. L’addestratore provò a fermarla, ma Clint gli fece segno di fermarsi e non preoccuparsi, perché si stava solo comportando da cane. Alla fine delle riprese, Clint pensò anche di adottare Daisy ma dovette rinunciare a causa delle sue allergie.
(Scusate la qualità dell’immagine ma l’ho fatta con un vecchio smartphone).

Il tour termina qui, ma voglio lasciarvi con una citazione del critico cinematografico Roger Ebert:

Da grande vorrei essere come Clint Eastwood. Eastwood il regista, Eastwood l’attore, Eastwood l’invincibile, Eastwood il vecchio. Quale altra figura nella storia del cinema è stata attore per 53 anni, regista per 37, ha vinto due Oscar per la regia, altri due per il miglior film, oltre al Premio Thalberg, e a 78 anni può dirigere se stesso in un suo film e sembrare più cattivo dell’inferno? Nessuno, ecco quanti.

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