La prima cosa che ricordo della Route 66 in Oklahoma è il cielo. L’Oklahoma è nel cuore della Tornado Alley, la regione centrale degli USA così chiamata perché spesso colpita da numerosi uragani, dovuti alle condizioni climatiche della zona. Ricordo il cielo arancio del tramonto e le nuvole scure e spesse che sembravano volerlo avvinghiare.
E ammetto che in quel momento agli uragani ci ho pensato sul serio.
Ricordo però anche l’intreccio di strade intorno ad Oklahoma City, uno dei musei che più ci è piaciuto e soprattutto i primi indizi di quegli USA che tanto amo: gli indiani e i cowboy, tracce dell’old west dell’immaginario collettivo, la carne buona, l’odore della pioggia la sera, i bagel più buoni che abbia mai mangiato.
L’Oklahoma, the sooner State, è anche lo Stato in cui la Route 66 si sente più forte. Qui, a Tulsa, Cyrus Avery decise che c’era bisogno di una strada che collegasse Chicago a Los Angeles, inoltre è lo Stato con più miglia di strada originale, qui si installarono per primi i cartelli che indicavano la “Historic Route 66” e qui nacque il primo museo statale dedicato alla Mother Road.
Un altro tratto importante dell’Oklahoma è la fortissima identità nativo americana: è stato infatti l’ultimo paradiso degli indiani d’America, la loro terra promessa quando circa 21 tribù vennero cacciate dai loro territori a nord nel 1830, con l’Indian Removal Act firmato dal settimo Presidente degli Stati Uniti Andrew Jackson, per essere deportati in quello che veniva considerato territorio indiano, ed era appunto l’Oklahoma (nome che deriva dalle parole okla humma in lingua Choctaw e significa “persone rosse”, pellirossa, dal nome con cui venivano chiamati gli indiani). Durante questo viaggio morirono moltissimi nativi americani, a causa delle condizioni pessime in cui versavano: marciavano a piedi, al freddo e senza acqua né cibo se non quello che riuscivano a procacciarsi. Oggi quello stesso percorso si chiama Trail of Tears, Sentiero delle Lacrime.
La Route 66 in Oklahoma: da Quapaw a Texola
Le strade e i paesaggi dell’Oklahoma raccontano tutto questo e cento altre storie. Soprattutto lungo la route 66, quella strada che più di una strada è un mito, una raccolta di storie e persone.
Si arriva alla Route 66 in Oklahoma dopo aver fatto quel brevissimo tratto di Mother Road che passa per il Kansas (appena 12 miglia) e ci si ritrova in un paesaggio fatto di verdi praterie. Il primo paese che si incontra è Quapaw, che prende il nome della tribù che viveva qui. Oltre a diversi murales che meritano un’occhiata, Quapaw è la casa di uno degli enigmi paranormali d’America ancora irrisolti, la Spook Light lungo la Devil’s Promenade: si tratta di una palla di luce/fuoco avvistata già dagli Indiani nel 1836, che balla o oscilla o “cammina” lungo questa strada lunga quattro miglia, di solito tra le dieci di sera e mezzanotte. Nonostante sia stata vista e studiata da scienziati, dottori e perfino l’Army Corps of Engineers, nessuno è riuscito a dare una spiegazione a questo fenomeno. Volete provarci?
Proseguendo si arriva a Commerce, paese natale della star del baseball Mickey Mantle, e poi a Miami (no, non quella Miami famosa che sta in Florida), la prima vera città indiana in Oklahoma, che oggi ospita l’Ottawa County Historical Society’s Dobson Museum, in cui è possibile ammirare una collezione di artefatti nativo americani, una dedicata alla Texaco, un’esposizione sulla Route 66 e tanto altro ancora.
Appena fuori Miami c’è una chicca: un tratto di strada, ancora percorribile, risalente al 1920. É una strada che passava per una piccola città, Narcissa, di cui oggi resta solamente un garage e una gas station.
Appena 24 km (17 miglia) dopo Miami si arriva ad Afton, cittadina che prende il nome dal fiume scozzese reso famoso da Robert Burn e che si è fermata ai tempi dei fasti della Route 66. Ormai i negozi e i ristoranti qui sono praticamente tutti chiusi, ma forse proprio per questo all’esterno mantengono ancora quell’aria vintage che riporta subito agli anni ’60.
A poca distanza da Afton, per una bella tappa al di fuori della Mother Road, c’è il Grand Lake O’ Cherokee dove si può anche nuotare, con delle bellissime cascatele vicino Grove.
Lasciata Afton si arriva a Vinita, la seconda città più antica dell’Oklahoma che deve il nome a Vinnie Ream, la scultrice che creò la statua di Lincoln che oggi si trova allo United States Capitol. É chiamata “America’s Crossroads”, perché qui passano la Route 66, la I-44, la 69 e la 60… in pratica le quattro maggiori strade del Paese! Il suo centro storico è un ricettacolo di art deco da non perdere. Evitate il Mc Donald’s più grande al mondo che si trova proprio qui e andate da Clanton’s Cafè, un’icona della 66.
Passate Chelsea e Foyil (la città Natale di Andy Payne, il vincitore della maratone di inaugurazione della Route 66) e arrivate a Claremore, la cittadina in cui sono nati Will Rogers (lo ricordate, l’attore dei primi film muti?) e Patti Page (la cantante country), oltre ad essere la prima città in cui i Cherokee si adattarono allo stile di vita dei “white men”, vivendo in case, costruendo negozi e scuole, creando un loro giornale e un preciso sistema d’educazione. Oggi a Claremore si può visitare il Will Roger Memorial, un museo con film e oggetti dedicati all’attore, il J.M. Davis Arms and Historical Museum con oltre 20.000 armi da fuoco, il Belvidere Mansion se vi piacciono le case infestate da fantasmi, il Will Rogers Hotel e Buddy’s Grill per una sosta a base di carne alla griglia.
Dopo Clamore si trova Catoosa e la sua Blue Whale, una delle icone più famose della Route 66.
Sapete cos’è la Blue Whale? Nient’altro che un regalo di anniversario! Un dono che ha voluto fare nei primi anni ’70 Hugh Davis a sua moglie Zelta, che aveva una passione per le balene (soprattutto per le figurine di balene).
L’altra cosa interessante riguardo Catoosa è che la città è anche il più ampio inland port, ovvero porto interno (nell’entroterra), degli Stati Uniti, collegato al fiume Arkansas fino al Golfo del Messico.
Lasciata Catoosa si arriva a Tulsa, la seconda città dell’Oklahoma. Il nome viene dalla parola Creek “Tulsy”, che significa città vecchia. É una città che ha visto la guerra tra nativi americani e white men, violenti scontri tra neri e bianchi ed è stata uno dei fulcri delle maggiori rivoluzioni americane. Oggi è la “Capitale mondiale del petrolio” e il suo centro storico è iscritto nel National Register of Historic Places come “Oil Capital Historic District”. Lungo la Route 66 le roadside attractions sono numerose: tanti vecchi motel, il Warehouse Boulevard, il Gold Meadow e infine la mia preferita, la statua “East meets West”, dedicata al padre della Route 66, Cyrus Avery. È una statua che rappresenta Cyrus con la moglie, la figlia Helen e il loro gatto mentre attraversano in automobile – una Model T – la Route 66, ma mentre si trovano a Tulsa incrociano un uomo con il suo cane su un carro trasportato da cavalli. La placca della statua recita: “East met West, old met new, and the past met the future”.
Passata Tulsa si arriva a Sapulpa, un’altra città conosciuta come “The Crossroads of America” perché qui si incrociano la Route 66, che collegava l’ovest con l’est, e la Route 75, che univa il nord con il sud. Imperdibile il Waite Phillips Filling Station Museum, un museo di automobili anni ’20, ma anche la sua Main Street, dove si assapora il west, le strade affiancate da quegli edifici rossi e gialli dalle facciate piatte… si ha quasi l’impressione di vedere spuntare uno sceriffo da dietro l’angolo!
Attraversate Kellyville, Bristow, Depew e fermatevi a Stroud per vedere il Rock Cafè, un diner che esiste dal 1939 e la cui proprietaria ha ispirato il personaggio di Sally per il film Disney Cars. Proseguite verso Davenport dove si trovano i murales più alti della Route 66 e poi verso Chandler, per fare un salto al Route 66 Interpretive Center and Gift Shop, dove un viaggio virtuale fa rivivere la Mother Road dall’inizio ai giorni d’oggi.
Circa 10 km dopo Chandler si arriva a Warwick, la prima ghost town lungo la Route 66 in Oklahoma, per poi passare le piccole cittadine di Weelston, Luther ed infine Arcadia, dove si trova la Round Barn, l’edificio più fotografato della Route 66.
Subito dopo si raggiunge Oklahoma City.
Questa città merita un post a parte. Vi anticipo che per me è una tappa imperdibile della Route 66, non perché sia una delle città più grandi lungo la strada, ma è una città che stupisce. Almeno io ne sono rimasta piacevolmente stupita, non credevo potesse piacermi tanto, è il vero punto di incontro tra est e ovest sulla Route 66, la città dove cowboy, indiani e ferite di una storia più recente convivono e si fondono come nel migliore degli impasti.
Superata Oklahoma City si incontra El Reno (città che, a proposito di uragani, nel 2013 è stata teatro dell’uragano più esteso nella storia d’America), una cittadina dal sapore old west ricca di icone della Route 66. Qui si può prendere l’Heritage Express Trolley e visitare il Canadian County History Museum, considerato uno dei musei più belli dell’Oklahoma. Il museo si trova proprio sul 98° meridiano e un tempo definiva il confine tra territori non assegnati e territori delle tribù Arrapaho e Cheyenne. Si può visitare anche Forte Reno e vedere un tratto del Chisolm Trail, una strada lunga 1300 km che collegava San Antonio in Texas con Abilene in Kansas.
Le successive tre piccolissime cittadine che si incontrano proseguendo lungo la Route 66 – Calumet, Geary e Bridgeport – sono l’esempio più chiaro di ciò che ha fatto la I-44 ai piccoli paesi che si trovavano lungo la Mother Road e poi ne sono stati lasciati fuori. Dopo Bridgeport si arriva a Hydro e qui non si può andare avanti senza fermarsi prima da Lucille Hamons’ Station (oggi Provine Service Station), luogo che oltre ad essere iscritto nel National Historic Register ha ricevuto il Route 66 Hall of Fame Award. A Lucille, la proprietaria, venne dato il nome di “Mom of Route 66”, per la cura con cui trattava i viaggiatori che passavano per la sua stazione.
Arrivati a Weatherford, magari per ora di pranzo o cena, bisogna fermarsi al City Diner, un ristorante in puro stile anni ’50, magari dopo aver fatto un salto al General Thomas P. Stafford Air and Space Museum.
Arrivati a Clinton – che si è guadagnata il soprannome di Hub (perno) of Route 66 – ci si trova di fronte ad altre due icone della Mother Road: il Route 66 Museum, uno dei musei più belli dedicati alla strada leggendaria, e il Tradewinds Best Western Inn, l’hotel preferito di Elvis presley. Lasciando Clinton tenete gli occhi bene aperti: pare infatti che nei dintorni della cittadina sia nascosta la perduta città d’oro messicana di Cascorillo.
Le successive città di Foss e Canute sono ormai solo scheletri di ciò che erano un tempo, una raccolta di insegne vintage di attività che ormai non esistono più. Quelle città che lasciano addosso una profonda nostalgia, la nostalgia di qualcosa che non si è vissuto ma si sogna profondamente.
Elk City, subito dopo Canute, è stata una delle mie soste preferite lungo la strada. Un’altra di quelle città, come quasi tutte in Oklahoma, che mescolano alla perfezione gli sfavillanti anni d’oro della Mother Road con la polvere dell’old west, delle storie tra indiani e cowboy. Solo che Elk City ha un tocco in più: il National Route 66 Museum. Cos’ha di diverso dagli altri cento musei con lo stesso nome lungo la via? Semplice, anche qui ci si tuffa in quei due mondi così vicini in questo Stato, intrecciati tra loro ma tanto diversi. Infatti il museo inizia con un percorso nella storia della Route 66 dagli anni ’20 ai giorni d’oggi, con esposizioni di fotografie, muscle car, carrozze, diner e qualsiasi altra cosa possa farvi pensare alla Mother Road. Finito il museo, dalla parte opposta ci si ritrova in una vecchia città dell’old west completamente ricostruita: la banca, la chiesa, l’ufficio dello sceriffo con le prigioni, la scuola, il droghiere, la farmacia, il saloon… perfino la stazione del treno! Una città a grandezza naturale, dove si può entrare in ogni edificio e respirare la vita dell’epoca. Da non perdere assolutamente!
Dopo Elk City si arriva a Sayre e qui si inizia a respirare profumo di cowboy. Una città con una historic downtown ricca di vecchi edifici dai colori rosso e arancio, che danno l’idea della polvere della terra, delle stelle degli sceriffi… ma anche degli anni ’50 – ’60 quando si incontra il Western Motel o l’Owl Drug Store.
In fine si raggiunge Erick, una tappa fondamentale per gli appassionati di musica country come noi. Questa infatti è la città che ha visto nascere Sheb Wooley e ha ospitato Roger Miller (chi non conosce la canzone King of the Road?), cui è anche dedicato un museo in città. Altre cose da vedere qui sono il museo dedicato al 100° meridiano, che si trova nella First National Bank Building, e il West Winds Motel, che richiama ad una hacienda messicana e anticipa vagamente ciò che sarà il New Mexico.
Prima però, superata la ghost town di Texola, c’è il Texas. Per me, il paese delle meraviglie.
La Route 66 Stato per Stato: