La route 66 in Missouri: da St. Louis a Springfield

Abbandonato l’Illinois, the Land of Lincoln, il nostro viaggio lungo la Route 66 continua in Missouri, lo “Show me State”.

Questo motto (sapevate che ogni Stato americano ne ha uno?) sembra derivi da un discorso che fece Willard Duncan Vandiver, un membro del Congresso nato nel Missouri, nel 1899:

“Vengo da uno Stato in cui allignano cereali, cotone, nappole e democratici, e l’oratoria vacua non mi convince né mi soddisfa. Son del Missouri. You have to show me.”

Un motto e un soprannome che rimanda anche al carattere schietto e pratico degli abitanti di questo Stato.

La Route 66 in Missouri, lunga oltre 480 chilometri, ci ha fatto scoprire una moltitudine di scenari e icone della Old Route 66. In particolare sono rimasta colpita dalle sue strade fatte di salite e discese immerse nel verde.

Route 66 in Missouri: da St. Louis a Joplin

Gateway Arch, St. Louis

Lasciata St. Louis – la città tra due Stati – dopo circa 50 chilometri si arriva ad Eureka e alla prima roadside attraction lungo la Route 66: il Route 66 State Park, un parco di oltre 400 acri aperto dal 1999 che include un tratto della Route 66 originale e il vecchio ponte sul Meramec River. È il luogo ideale per trekking, giri in bici e a cavallo, pic-nic… uno dei posti preferiti dagli abitanti di St. louis, il classico parco in cui passare la domenica, soprattutto in famiglia!
Altri 25 chilometri verso Ovest e si incontra Pacific, un paese così chiamato in onore della Pacific Railroad, dove si trovano il Red Cedar Inn, aperto nel 1934 e chiuso nel 2005 ma ancora visibile come un tempo, e il Down South Cafè, nato nel 1940 come Monroe’s Diner e oggi diventato un ristorante di cucina cajun.

Appena 8 km dopo Pacific si incontra Gray Summit, dove vale la pena fermarsi per almeno un motivo in particolare: la Shaw Nature Reserve, un tempo terra delle tribù indiane Arapaho, oggi uno splendido giardino botanico che conserva le specie più belle di piante e fiori del Missouri.
A proposito di Nativi Americani, poco dopo Gray Summit, a Villa Ridge, incontrerete l’Indian Harvest Trading Post: non lasciatevi incantare, è solo una trovata turistica! Si tratta di negozi a forma di tepee, che chiedono anche di pagare un biglietto di ingresso – rivendendosi la cosa come museo – e vendono solo prodotti falsi, fabbricati in Cina o Messico. Se volete conoscere i veri Nativi Americani, più avanti ne avrete la possibilità!
Ad esempio già a St. Clair, 20 km circa dopo Villa Ridge, continuando sulla Route 66 in Missouri, troverete il St. Clair Historical Museum con veri artefatti indiani (e non solo: anche un vecchio general store ricostruito, insieme ad una piccola sala medica).

A 15 km da St. Clair si arriva ad una delle tappe che più ho amato: Stanton.
Qui ho iniziato a conoscere ed amare la capacità degli statunitensi di rendere mitica e leggendaria qualsiasi cosa, perfino l’immagine di un cowboy fuorilegge come Jesse James.

Jesse James Wax Museum, Stanton, MO

Chi era Jesse James?
Jesse Woodson James nacque in Missouri nel 1847, secondo di tre figli. Perse il padre a 3 anni e la madre si risposò due volte. Nel 1863, in piena Guerra di Secessione, dei soldati nordisti irruppero nella fattoria in cui viveva la famiglia di Jesse, torturando il patrigno e malmenando lui, che aveva appena 15 anni, per farsi rivelare dove si trovava Quantrill, capitano di una delle milizie confederate. Fecero credere a tutti di uccidere il patrigno ma lo portarono solo in prigione, dove poco tempo dopo finirono anche la sorella e la madre di Jesse. Lui decise così di unirsi alla milizia di Quantrill per vendicare i soprusi subiti dalla sua famiglia e combatté con la milizia per tutta la durata della Guerra di Secessione. La sua guerra personale contro i nordisti però continuò anche dopo il 1865, a suon di rapine in banca e attacchi ai treni negli ex stati dell’Unione insieme alla sua banda, formata da: il Fratello Frank, i fratelli Cole, Jim e Robert Younger, William “Bloody” Anderson, i fratelli Ed e Clell Miller, Quantrill, Archie Clement e Dave Pool, i fratelli Charley e Bob Ford. Per la gente del sud divenne così una sorta di Robin Hood, mentre per quelli del nord rappresentava il peggiore dei delinquenti.
Il 3 agosto 1882 mentre era in casa dei fratelli Ford, approfittando di un attimo di distrazione di Jesse, Bob – per eseguire un compito affidatogli e pagato dagli investigatori Pinkertons – gli sparò alle spalle, uccidendolo. Forse…

Forse perché nel 1948 Rudy Turilli, il general manager delle Meramec Cavern, incontrò un uomo anziano, J. Frank Dalton, convincendosi che fosse in realtà Jesse James che all’epoca aveva solo inscenato la sua morte per poi vivere sotto una falsa identità. Se sia vero o meno nessuno lo sa, ma tutta questa storia è raccontata al Jesse James Wax Museum di Stanton.
Il museo è piccolino, l’ingresso costa 8$ e la visita inizia con un video che racconta brevemente chi era Jesse James, per poi continuare lungo un percorso dove vengono mostrati oggetti a lui appartenenti, immagini e giornali a lui dedicati ed infine anche oggetti della vita quotidiana di fine ottocento per raccontare gli US dell’epoca. A noi è piaciuto molto e qui, per la prima volta, ci siamo anche confrontati con la vera ospitalità americana e il loro modo di approcciarsi diretto, colloquiale, amichevole anche con gli sconosciuti. Abbiamo parlato a lungo con il ragazzo che lavorava alla cassa mentre curiosavamo nello shop che si trova proprio all’ingresso, ci ha chiesto della moto e che giro facessimo e ci ha anche salvati: mentre parlavamo si è affacciato fuori e vedendo le nuvole nere di passaggio ci ha avvisati del fatto che da lì a pochi minuti sarebbe arrivato un acquazzone ma che sarebbe durato poco, perciò se volevamo potevamo attendere lì. E, incredibilmente, ci ha preso! Per fortuna abbiamo ascoltato il suo consiglio… pochi minuti dopo infatti è venuta giù tutta la pioggia che non abbiamo visto in un mese negli USA, un acquazzone durato pochi minuti prima di lasciare posto al sole e al caldo. Di lui ci ricorderemo sempre!

Passata Sullivan si arriva a Bourbon, paese che deve il nome proprio al liquore: non perché venisse prodotto qui, ma perché intorno al 1850 i lavoratori della ferrovia iniziarono a chiamare la città con questo nome, grazie ai barili di Bourbon in vendita nell’unico General Store del paese. Non perdete il Circle Inn Malt Shop e poi proseguite verso Cuba, dove dovete assolutamente fermarvi a mangiare perché troverete il posto più buono in cui mangiare lungo la Route 66 (almeno secondo noi): il Missouri Hickory BBQ.

Uno dei piatti del Missouri Hick BBQ

Non è un locale storico della Route 66 ma è consigliato in tutte le guide che abbiamo letto perché è davvero buono e caratteristico. Richiama alla Mother Road e alle log cabin in ogni dettaglio, oltre ad essere economico (per i prezzi americani) e servire piatti tipici di Ozark.
Date un’occhiata anche al tipico Wagon Wheel Motel proprio accanto al ristorante e ai colorati murales dedicati alla Route 66 sparsi per la cittadina, prima di muovervi verso Rosati, la Little Italy della Route 66, chiamata così perché pochissimo tempo dopo che la città fu fondata vi si stabilì un gruppo di immigrati italiani i quali iniziarono a vivere coltivando l’uva, utilizzata per i succhi d’uva e il vino, che ancora oggi rende famosa la cittadina.
Proseguite verso St. James, dove potete rilassarvi nel Meramec Spring State Park e conoscere lo storico Finn’s Motel, prima di arrivare, 18 km circa dopo St. James, a Rolla, la prima cittadina che è riuscita a farmi fare davvero un salto negli anni ’60, con la sua downtown, il Mule Trading Post e il negozio vintage Martin Springs Drive.
40 km verso ovest si arriva a Jerome, dove vale la pena fermarsi per uno sguardo al Larry baggett’s Trail of Tears Memorial, un monumento dedicato alle vittime del Trail of Tears, ovvero gli indiani d’america che furono costretti a lasciare le loro terre per rifugiarsi in Oklahoma. In tanti persero la vita lungo il tragitto e per questo chiamarono quella strada Trail of Tears.
Passate Devil’s Elbow, Lebanon e finalmente si arriva a Springfield, the birthplace of Route 66, così chiamata perché qui venne deciso di dare il numero “66”, perché suonava bene, alla starda che collegava Chiacago a Los Angeles. Noi qui ci siamo fermati a dormire per due notti per stare un po’ con i parenti che vivono qui e per stare con loro non abbiamo avuto molto modo di scoprirla (un buon motivo per tornarci), ma un consiglio ve lo posso dare: fermatevi a mangiare al Lambert’s Cafè, il ristorante dei panini volanti! Andateci presto o dovrete fare ore di fila (noi siamo arrivati alle 14 e abbiamo pranzato alle 16), perché il cibo è squisito, le porzioni sono enormi e… ha una simpatica caratteristica: il lancio dei panini! I camerieri infatti (in camicia azzurra e bretelle rosse) passano tra i tavoli a lanciare – letteralmente! – panini o servire okra (un baccello fritto), melassa per il pane e un mucchio di altre cose!

I camerieri del Lambert’s Cafè (e scusate la foto fatta con il cellulare)

Da Springfield noi abbiamo scelto di fare una deviazione dalla Route 66 per andare a vedere Eureka Springs, una cittadina colorata e molto particolare in Arkansas che proprio non volevamo perderci, per poi riprendere la 66 da Oklahoma City.

Ma da Springfield la Route 66 continua, offrendo tantissime altre meravigliose roadside attraction e passando per il Kansas, per soli 20 km appena, entrando poi in Oklahoma, la terra degli Indiani d’America.

 

 

La Route 66 Stato per Stato:

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