Sono ancora nella fase da depressione post viaggio, quella in cui cammino sognando ad occhi aperti il viaggio appena trascorso, perdo la testa nei ricordi e mi ritrovo a sospirare riguardando continuamente le foto del nostro viaggio sulla Route 66.
Vi capita mai? A me spesso, ma mai forte come adesso. La Route 66 era un sogno, uno di quei viaggi che temi di non riuscire a fare mai perché li consideri “troppo” (anche per i costi). Avevo anche un po’ timore di farlo, in realtà: avevo paura di aver riversato sugli States aspettative troppo alte, di averli idealizzati troppo. Invece si sono rivelati ancora più belli di quanto mi fossi mai aspettata.
Il sogno si è realizzato ed è stato molto più bello del sogno stesso.
La Route 66 è IL viaggio on the road. La strada per eccellenza.
Una strada ricca di storia e di storie, un museo all’aria aperta di 3940 chilometri che racconta 90 anni di storia e speranze americane. Per questo non va attraversata solo per dire “l’ho fatto“, né per correre da un punto all’altro scattando foto solo per dire di esserci stati. Va vissuta, ascoltata, osservata, va accarezzata con le ruote e con il cuore.
Cos’è realmente la Route 66? La sua storia
La U. S. Route 66 fu voluta da Cyrus Stevens Avery, un ricco uomo di Tulsa, e nacque nel 1926 per diverse ragioni: serviva a soddisfare il crescente traffico automobilistico, a raggiungere quelle piccole cittadine e quei piccoli paesi che avevano difficoltà a reperire beni di prima necessità, a raggiungere l’Ovest e il suo impetuoso sviluppo economico che in quegli anni rappresentava per molti l’occasione di una vita migliore (e la fuga dalla Grande Depressione che colpì gli Stati Uniti), e a scappare dal Dust Bowl, la serie di tempeste di sabbia che dal 1931 al 1939 flagellarono gli USA a causa del disastro ecologico che colpì le Grandi Pianure, dovuto alla coltivazione intensiva e all’industrializzazione selvaggia.

Inizialmente doveva chiamarsi Route 60 ma questo nome fu dato poi alla strada che collega Atlanta in Georgia con l’Ovest, così Avery scelse il nome di Route 66 perché aveva un bel suono.
Avery era convinto fin da subito dell’importanza di questa strada per l’America, così volle inaugurarla alla grande: nel 1927 lanciò la Bunion Race, una maratona che partiva da Los Angeles per arrivare a New York passando da Chicago e attraversando tutta la Route 66. Il 4 marzo 1928 partirono da Los Angeles in 275 ma il percorso si rivelò massacrante perfino per gli organizzatori, così all’arrivo a New York i partecipanti rimasti erano appena 53. Il vincitore fu Andy Payne, un cherokee diciannovenne che si aggiudicò anche il premio finale da 25.000 dollari.
Il decennio successivo vide gli Okies, i contadini dell’Oklahoma, abbandonare la loro terra seguendo la Route 66 per arrivare in California al gridò di “o la California o la rovina”, scappando dalle Dust Bowl. John Steinbeck raccontò questo periodo nel suo libro “Furore”, dove definì la Route 66 la Mother Road, la strada madre: è così che questa strada divenne una leggenda.
Nel 1938 terminarono di asfaltare l’intero percorso, una cosa eccezionale per l’epoca che si rivelò di vitale importanza durante la Seconda Guerra Mondiale, quando partivano da Chicago i rifornimenti per i militari di stanza a San Diego.
Finita la guerra milioni di americani emigrarono da est a ovest per cercare fortuna in California, il nuovo Eldorado. Così la Route 66 divenne simbolo di avventura, di viaggio e di speranza: una casa per viaggiatori, avventurieri, disperati che scappavano da una situazione di crisi, uomini e donne in cerca di fortuna. Uno di loro, Bobby Troup, lungo il suo viaggio verso ovest scrisse una canzone che intitolò Get your kicks on Route 66 e, appena arrivato a Los Angeles, la vendette a Nat King Cole che nel 1956 ne fece un successo mondiale.
In questi anni di ripresa aumentò fortemente la popolazione e con essa la produzione di automobili. Così la Route 66, data la sua fama e la sua utilità, veniva percorsa giornalmente da migliaia di persone e ad un certo punto il traffico e gli incidenti che si verificavano sulla strada divennero un numero inaccettabile. Nel 1956 il Mc Donald Plan, una legge federale fortemente appoggiata da Eisenhower, decretò la chiusura delle vecchie Route e la loro trasformazione in Interstate a quattro corsie. L’impresa richiese quasi vent’anni, ma lasciò morire lentamente la Route 66. Eppure la Mother Road negli ultimi anni visse il suo periodo più sfavillante: la CBS negli anni ’60 le dedicò addirittura una serie televisiva che parlava di due viaggiatori che percorrevano la strada su una vecchia corvette, auto che divenne simbolo della Route 66.
Quando nel 1985 furono finiti i lavori per le Interstate gli americani non dimenticarono la loro Strada Madre: la stampa ricominciò a parlarne, furono rialzati i suoi cartelli stradali e in molti, soprattutto viaggiatori, ricominciarono a percorrerla. Dal 1994 la Route 66 è monumento nazionale e sotto la protezione del governo federale. Sono nate molte associazioni per la sua difesa, tra cui la National Historic Route 66 Federation che si impegna anche a cercare di rialzare l’economia di quei piccoli paesi in declino dopo la chiusura ufficiale della strada.

Itinerario in moto sulla Route 66: da Chicago a Los Angeles
Conoscendo la storia della Route 66 pianificare l’itinerario e guardarne le immagini ha avuto per noi un sapore speciale. Abbiamo così deciso di seguire la tratta originale, la Historic Route 66.
Seguirla non è semplice: spesso mancano le indicazioni, alcuni tratti sono chiusi, altri aperti solo alle biciclette o ai pedoni, e, cosa che ci ha stupito, molti americani non conoscono la strada quindi anche chiedere indicazioni non è sempre una soluzione.
Però vale la pena cercare di percorrerla, perché le numerose e famose roadside attractions si incontrano soltanto lungo la strada storica e poi… che senso ha percorrere la I-40 solo per passare da una cittadina all’altra, la strada colpevole della chiusura della Route 66, dell’abbandono dei suoi piccoli paesi, della rovina di tutte quelle persone che avevano dato la vita per le loro attività lungo la Mother Road?
L’ideale sarebbe non prenotare nessun albergo ma fermarsi quando si ha voglia in uno dei numerosi motel lungo la strada o in una delle numerose città grandi o piccole che si incontrano, ma in alta stagione (da giugno a fine agosto) si rischia di trovare tutto pieno quindi bisogna organizzarsi in anticipo. Noi abbiamo prenotato tutto prima e organizzato il viaggio tappa per tappa, scegliendo di fermarci – per questa prima volta – nelle città.
Abbiamo fatto qualche deviazione della Route 66, ma qui vi parlerò solo dell’itinerario base, le tappe in cui abbiamo scelto di fermarci per passare la/le notte/i. È solo un accenno, poi vi racconterò meglio tappa per tappa, Stato per Stato.
Chicago, Illinois (3 notti)
Qui inizia la Historic Route 66, tra Michigan Avenue e Adam Street, e qui è iniziata la nostra avventura. Tre notti (che non si sono rivelate sufficienti per il programma che avevamo fatto) per cercare di scoprire almeno le cose principali della Windy City, la grande città che più ci è piaciuta tra tutte quelle che abbiamo visto.
Da Chicago a Springfield, 330 km circa – Illinois (1 notte)
Springfield, in Illinois, è la città di Abraham Lincoln. Una città piccola ma bellissima, che offre davvero molto da vedere e, cosa principale, fa scoprire la storia di questo Presidente tanto amato dagli americani. Vale assolutamente una sosta!

Da Springfield, Illinois, a St. Louis, Missouri – 160 km (1 notte)
St. Louis è una delle “città della musica” degli USA, quella con la strada del Blues, la città del Gateway Arch e della Budweiser.
Proprio qui abbiamo vissuto un’esperienza a cui tenevamo tantissimo: assistere ad un concerto country! Fortuna ha voluto che non fosse un concerto qualsiasi, ma proprio quello di uno dei nostri cantanti country preferiti!
Anche qui però abbiamo calcolato male i tempi: siamo arrivati in serata, abbiamo avuto problemi con la moto e il giorno dopo abbiamo dovuto passare mezza giornata – quella che avremmo dovuto sfruttare per conoscere un po’ la città – a sistemare la moto. Consiglio? Almeno 2 notti qui vanno spese!
Da St Louis a Springfield, Missouri – 400 km (2 notti)
Questa a Springfield in Missouri per noi ha rappresentato una sosta obbligatoria e di piacere per andare a trovare la nostra famiglia americana.
La città in sé non offre moltissimo a parte un centro storico molto carino, le Fantastic Cavern e, la cosa secondo me più carina di tutte, la Showboat Branson Belle.
Da Springfield, Missouri, a Oklahoma City, Oklahoma – 480 km (2 notti)
Oklahoma City è stata una sorpresa. La classica città che non ti aspetti sia così speciale e invece ti sorprende.
Ci siamo persi tra i suoi grattacieli, incantati al Cowboy&Western Heritage Museum, commossi di fronte al National Memorial. Anche questa è una tappa da non saltare assolutamente!

Da Oklahoma City, Oklahoma, ad Amarillo, Texas – 450 km (2 notti)
Lo confesso: il Texas è lo Stato che aspettavo più di tutti… e non mi ha deluso, anzi! Nonostante Amarillo non sia la città più bella dello Stato, mi sono innamorata: le pianure infinite, i cowboy, le bistecche, i canyon e la Route 66. Tutto come lo immaginavo, ma ancora più bello.
Qui ad Amarillo inoltre abbiamo avuto la fortuna – l’ennesima – di assistere ad un vero Rodeo! Se capitate qui nel weekend sicuramente riuscirete a beccarne almeno uno, i dintorni della città sono pieni di ranch che offrono questo spettacolo.
Da Amarillo, Texas, a Santa Fe, New Mexico – 480 km (2 notti)
Santa Fe non è una meta classica sulla Route 66, di solito si prosegue dritti per Albuquerque.
All’altezza di Santa Rosa (all’incirca) la Route 66 si divide in due parti: il tratto più vecchio sale verso Santa Fe, mentre quello più nuovo prosegue verso Albuquerque.
Noi abbiamo deciso di vedere entrambe le città ed è stata una scelta di cui sono felicissima, perché Santa Fe è una città davvero unica, uno di quei posti che pensi “una cosa così posso vederla solo qua”.

Da Santa Fe ad Albuquerque, New Mexico – 120 km (2 notti)
Albuquerque è la città di Breaking Bad e soprattutto questo ci ha spinto a fermarci qui per un bel tour tra le location del film, scoprendo così che la città ha anche una Old Town molto caratteristica e un interessante museo sui nativi americani, oltre alla festa del 4 luglio più grande di tutto il New Mexico (e qui ho visto i fuochi d’artificio più belli mai visti in vita mia. Mi sono commossa!)
Da Albuquerque, New Mexico, a Flagstaff, Arizona – 550 km (2 notti)
Flagstaff è stata la nostra base per visitare il Grand Canyon, che si trova a circa 1 ora e mezzo di distanza. Si trova a 1800 metri d’altezza (e credetemi, non ve ne rendete conto finché non leggete il cartello che indica l’altitudine) ed è la città dei pionieri – a cui è dedicato un museo – con un bel centro storico e il Railway Museum.

Da Flagstaff, New Mexico, a Los Angeles, California – 750 km (3 notti)
Piccola nota: come vedete la distanza tra le due città è molta. Noi in realtà ci siamo fermati prima a Las Vegas (430 km da Los Angeles), ma è un tratto che va al di fuori della Route 66. Il consiglio che posso darvi è di non fare tutti questi chilometri, ma fermarvi a metà strada o passare per Las Vegas, visto che è abbastanza vicina.
Los Angeles città per noi è stata un po’ una delusione, salvata da Santa Monica (non solo per il Pier, che è fantastico, ma è carina proprio la cittadina) e ancor di più dagli Universal Studios, che sono a dir poco strepitosi, soprattutto per gli appassionati di cinema. Tre notti qui sono sufficienti se si hanno le intere giornate (almeno 3) a disposizione.
Forse il problema di Los Angeles è che spesso si trova ad essere l’ultima tappa del viaggio e per questo non si riesce a godersela a pieno. Noi stessi ripartiti da Las Vegas avevamo addosso una forte tristezza pensando che ci stavamo avviando verso l’ultima tappa del viaggio, e questa tristezza ce la siamo portata addosso per tutto il tempo (tranne negli Universal Studios, dove è impossibile essere tristi). Sicuramente è una città che va visitata.
Come questo è un viaggio che va fatto, almeno una volta nella vita… anzi, non va fatto, va vissuto.
Per conoscere le tappe Stato per Stato:
Chissà che meraviglia percorrere tutta la Route66. Io ho visto solo i 2 paesini, forse i più turistici e meno genuini tra Las Vegas e il Grand Canyon, Seligman e Kingman, ma avevo già gli occhi a cuore.
Hai ragione è un viaggio da vivere, e forse Los Angeles a fine tour lascia l’amaro in bocca.
Figurati che dopo tre giorni di LA, tra spiagge, mare, parchi, arrivata a Las Vegas io volevo tornare indietro eheh. Curiosa di leggere i prossimi post.
Buoni nuovi viaggi!
Monica
Grazie Monica!
Ma un’appassionata di States come te che aspetta a fare la Route? 😀