(Avviso: il post è un po’ lungo e le parole non sono leggere.)
La storia dell’Olocausto ci viene ripetuta fin dalle elementari, in ogni modo possibile e immaginabile.
Veniamo bombardati di informazioni, documenti, libri, immagini, testimonianze… al punto che crediamo di conoscerla bene, di sapere esattamente quale sia stato l’orrore di quei tempi.
Invece no.
No, nessuno se ne può rendere veramente conto finchè non va a visitare Auschwitz e Birkenau.
L’ho provato io stessa.
Lì dentro si scoppia in lacrime. Una volta fuori da lì non si ha più voglia di parlare, ci si vergogna della propria razza. Non bianchi, neri, ebrei o musulmani: ci si vergogna della razza umana.
Ogni altro pensiero, appena fuori da qui, sembra inutile.
La crudeltà della storia prima ti colpisce come il più forte degli schiaffi in pieno viso, poi ti mette in ginocchio.
Cammini a testa bassa, guardi a terra.
Ma non ti salvi così, perchè l’odore che c’è lì si infila dentro e non ti lascia più. Non so se è lo stesso odore di settant’anni fa, ma so che quell’odore lo si sente soltanto lì.
Arrivati ad un certo punto gli occhi non hai quasi più il coraggio di alzarli, eppure senti di doverlo fare.
Per imprimerti bene in testa questo orrore, per non dimenticarlo mai.
E’ difficile descrivere come ci si senta là dentro.
Non hai un umore particolare. Non ci si sente tristi, nè abbattuti. Semplicemente, non ci si sente.
In alcuni punti senti gli occhi riempirsi di lacrime, e non sai da dove arrivano, non sai nemmeno perchè non scendono. Ti bagnano la vista, quasi a volerti difendere da quelle immagini, da quelle storie.
Non esiste un modo gentile di parlare o descrivere ciò che si vede là dentro: l’unico modo per farlo è quello più brutale, come brutali sono la visita e le sensazioni all’interno del campo di sterminio.
Quando sono andata era pieno Agosto, eppure il cielo era coperto da nuvole grigie e cadeva una pioggia leggera.
Forse anche il cielo si vergogna di quel posto e lo tiene nascosto al sole.
Forse la pioggia tenta di cancellare l’orrore. Un orrore così grande che nemmeno la natura riesce a nascondere. Neanche dopo settant’anni.
“Arbeit Macht Frei”
La famosa scritta che capeggia all’ingresso di Auschwitz, su quel cancello di ferro nero.
“Il lavoro rende liberi.” Chissà se era ironia per i nazisti. O solo una bugia.
Oltre il cancello, costruzioni di mattoni chiamate “blocchi” e filo spinato.
E terra, e forni, e prigioni, e camere a gas, e muri della morte, e orrori.
Neanche la guida riesce a dare un tono alle sue parole. E’ piatta, vuota. Non perchè ripete sempre le stesse cose, quella sarebbe noia. E’ il tono piatto di chi certe cose non vorrebbe mai doverle dire.
Il primo treno carico di deportati arrivò qui il 14 giugno 1940.
Una mappa in uno dei blocchi mostra tutte le città da cui i treni partivano, treni in cui la gente veniva stipata come bestie, senza cibo e senza acqua per giorni, in piedi, e proprio come le bestie veniva portata al macello. Molti non sopravvivevano al viaggio, che durava anche due settimane.
Chi è sopravvissuto racconta che chi moriva nel carro veniva lasciato là, insieme ai vivi.
E che l’unico ricordo che hanno di quel viaggio è il pianto dei bambini.
A Birkenau c’è ancora uno dei carri in cui la gente veniva portata. E’ fermo accanto ai binari, con un piccolo mazzo di fiori.
Un piccolo, innocuo carro di legno, con le pareti impregnate di urla e lacrime.
Sapete perchè venne costruito Birkenau? Perchè il numero di morti che faceva Auschwitz ai nazisti non bastava. Ne volevano ancora e ancora.
Così a Birkenau vennero installati quattro forni crematori che lavorano giorno e notte, senza sosta alcuna. I forni servivano per bruciare i cadaveri, troppi per poterli nascondere.
Si, li nascondevano, perchè nessuno dei prigionieri del campo conosceva la verità.
Come funzionava? I treni arrivavano dentro il campo di Birkenau, i sopravvissuti al viaggio scendevano sulla banchina e già lì iniziava lo sterminio della coscienza. Le famiglie venivano separate: anziani da una parte, uomini dall’altra, file di donne dall’altra parte, bambini lontani. Molte donne venivano uccise a colpi di pistola mentre si aggrappavano ai propri figli, nel disperato tentativo di non farseli strappare via dalle mani.
Chi veniva giudicato adatto al lavoro veniva portato nei blocchi.
Chi non lo era veniva portato subito alle docce, con la scusa di togliere i pidocchi.
Anziani, disabili, donne incinte e bambini sotto i quindici anni non avevano nessuna speranza.
Ognuno teneva in mano la propria valigetta, con tutti i suoi ricordi più preziosi, quei pochi che era riuscito a prendere mentre lo strappavano via da casa. Gli dicevano di scrivere nome e indirizzo sulla valigia, perchè dopo la doccia l’avrebbero ritrovata.
Li portavano nello spogliatoio, costringendoli a spogliarsi di fronte agli altri mentre venivano derisi e malmenati, poi spinti nella sala delle docce.
Centinaia e centinaia di persone accatastate dentro un’unica stanza, nude e terrorizzate.
Quando la doccia iniziava, non si accorgevano subito di cosa stesse accadendo. Il dolore iniziava ad arrivare dopo qualche istante.
Lo Zyklon B è un gas che uccide lentamente, ci vogliono dai 10 ai 15 minuti per morire.
Dieci lunghissimi minuti di dolore, a guardare negli occhi il figlio, il padre, la madre, mentre soffrono le stesse pene, mentre si muore insieme.
Ad Auschwitz, in una delle camere a gas, sono ancora visibili i disperati segni delle unghie sul muro.
Il segno del dolore, del veleno dell’uomo.
La doccia restava chiusa per mezz’ora, e una volta aperta veniva prima fatta arieggiare, poi i prigionieri del campo che appartenevano al Sonderkommando raccoglievano i corpi. Avevano il compito di tagliare via i capelli, i denti d’oro e tutte quelle cose preziose che la gente si nascondeva addosso, poi dovevano bruciarli nei forni.
Questo lavoro veniva svolto da prigionieri scelti, particolarmente in forze, che poi venivano tenuti in una parte del campo nascosta a tutti gli altri, in modo che nessuno potesse conoscere la verità.
Erano costretti a bruciare i corpi di amici, di gente con cui avevano condiviso dolori e le crudeli condizioni del campo. Oppure i corpi dei loro parenti.
Perchè le docce non venivano fatte solo all’arrivo. Ogni giorno c’era l’appello, e chi stava male o non poteva più lavorare, veniva portato alla doccia.
Un milione e mezzo di morti in quattro anni solo a Birkenau.
Il problema non era solo la doccia: le condizioni in cui i prigionieri venivano tenuti erano massacranti. Fame, sete, freddo, malattia, quindici ore al giorno di lavoro.
In uno dei blocchi ad Auschwitz una parete è ricoperta dalle foto dei prigionieri, con la data di internamento e quella di morte.
A volte sono solo quattro giorni.
C’erano le prigioni, il muro della morte, il blocco 10, chiamato blocco della morte, dove Mengele svolgeva i suoi crudeli esperimenti medici, soprattutto sui bambini di razza rom.
Chi si salvava dalla selezione all’arrivo, veniva spogliato di tutto: oggetti, abiti, capelli, nome… anche della dignità. Annullavano completamente l’essere umano, che diventava nient’altro che un numero in attesa di essere ucciso. I nazisti, nella loro crudele follia, avevano fatto anche dei calcoli: chi arrivava al campo ed era considerato abile al lavoro, poteva sopravvivere dai due ai tre mesi. Non avevano bisogno di altro.
Nel primo convoglio che arrivò a Birkenau il 7 ottobre 1941, c’erano 13000 deportati.
A gennaio del 1945, alla liberazione del campo, di quel carico ne erano sopravvissuti 92.
Quando i russi e gli americani arrivarono a liberare il campo, i soldati nazisti tentarono di far esplodere le camere a gas e di bruciare ogni prova possibile dello sterminio.
Ma non ci riuscirono.
Così oggi abbiamo l’opportunità di guardare, di imparare e di ricordare.
Primo Levi disse che almeno una volta nella vita bisogna andare ad Auschwitz.
Aveva ragione.
Bisogna andarci, bisogna ascoltare, guardare, poi raccontare tutto ciò che si è visto, nei minimi dettagli.
Perchè ognuno di noi deve sentire addosso l’orrore del razzismo, dobbiamo capire che l’essere umano è la più crudele delle bestie e sforzarci di cambiare, di far si che tutto questo non capiti mai più.
Possono distruggere i documenti, i luoghi, ma non la memoria.
Lo scopo della Memoria, del Giorno della Memoria, è proprio questo.
Ricordare per non ripetere. Sapere, guardarsi allo specchio e sputarsi in faccia e impegnare ogni forza personale per far si che non si ripeta mai più una cosa simile.
Quegli anziani inabili, quei bambini strappati via dalle loro madri, quelle donne incinta, quegli uomini malati… erano noi. Siamo noi.
Informazioni:
Il Konzentrationslager di Auschwitz è a 40 minuti di autobus da Cracovia. Il viaggio costa circa 3 euro a tratta.
E’ aperto tutti i giorni, il costo della visita guidata è di circa 10 euro per entrambi i campi, ma se volete potete entrare gratuitamente prima delle 10 e visitarlo per conto vostro.
Da Auschwitz una navetta porta a Birkenau, in meno di 10 minuti. La durata totale della visita ai due campi è di cinque-sei ore almeno.
stamattina mi sono svegliata pensando “Voglio provare questa esperienza, sono certa che crollerò psicologicamente, ma ci voglio andare. Voglio vedere con i miei occhi”
E poi leggo questo tuo post.
Oggi è una giornata speciale.
No, non dobbiamo dimenticare. Ed è così che possiamo continuare a ricordare con terrore quanto è accaduto, con articoli profondi come questo.
Grazie Manu… preparati, perchè una visita là è veramente tosta. Prenditi un giorno solo per quello… perchè ti mancheranno gli occhi e lo spirito per goderti tutto il resto.
Ci sono stata una settimana fa …e mi sono rispecchiata in tutto quello che ho letto sull’articolo…..bisogna andare x ricordare …x trasmettere a quelli che verranno dopo di noi ….che l’uomo è una bestia….anzi in quel caso è stato un diavolo sulla terra…..posso aggiungere a tutte le sensazioni scritte sull’articolo…che essendo madre e avendo cn me al momento della visita le mie due bambine 5 e 10 anni…ho immaginato quel dolore provato da quelle donne a cui hanno strappato i loro figli o quelle donne che hanno anche assistito alla loro morte…mi sono immedesimata e ho provato tanto dolore x tutte quelle persone….in modo particolare x mamme e bimbi …
Non c’è dolore più grande… l’uomo è stato veramente il demonio lì dentro. E’ fondamentale visitarlo, ricordare sempre, per far sì che non accade mai più nulla del genere…
Grazie per la tua testimonianza, Lidia!
Sono passati 2 anni e non ho ancora scritto l’articolo. Mi rimbomba il dolore, l’orrore e la crudeltà. Comprai 2 libri all’ ‘Auschwitz-Birkenau Memorial’, ne ho letto uno dedicato esclusivamente ai bambini e l’immagine di un nazista che ammazza un bambino prendendolo di peso e sbattendolo più volte contro il muro, mi perseguita.
È una visita che mi ha ghiacciato e non sentivo neppure i -5 gradi esterni, una visita che ti svuota e hai paura del genere umano e dell’insana crudeltà di cui è capace e che probabilmente accadono atrocità simili in altri luoghi e noi non ne sappiamo nulla. Un dovere di tutti visitare quei luoghi e raccontare per non dimenticare e impedire. Ciao…
Ti capisco benissimo… però alla fine ho pensato che raccontare è l’unico modo per non dimenticare e per far si che la gente si renda conto… Perciò ho deciso di farlo, anche se con le lacrime agli occhi.
Bellissime le tue parole, mi ci ritrovo pienamente…
Mia madre era ebrea ucraina io sono nato con la shoah nel sangue in unione sovietica i tedeschi purtroppo non davano neanche quel minimo di speranza gli ebrei venivano uccisi tutti sul posto e mi raccontava di tutta la sua famiglia sterminata tutta … questo è auschwitz siamo noi
Auschwitz è piena di storie orribili, che vanno raccontate e non dimenticate, nella speranza che non accada mai più nulla di simile e capire cosa NON essere…