Scalare un vulcano è forse una tra le cose più emozionanti da provare.
Credetemi, affacciarsi dalla bocca di un vulcano attivo, di emozioni te ne lascia eccome… Quella di base, che accompagna dalle pendici fino alla bocca, è senza dubbio l’inquietudine.
La consapevolezza di calpestare un suolo vivo, che brucia, sotto il quale scorrono fiumi bollenti, qualcosa che potrebbe risvegliarsi da un momento all’altro dal suo stato di quiescenza, risvegliarsi dopo secoli di sonno, facendo esplodere tutto ciò che in questi secoli è rimasto sopito. Un po’ come aprire una bottiglia di coca-cola dopo averla agitata per alcuni minuti. Solo che qui a bagnarti non sarebbero zucchero e caffè, ma cenere e lava.
E’ stata una delle prime cose che abbiamo fatto della lista (anzi, in realtà all’epoca nemmeno esisteva ancora la lista!), su un Vesuvio colorato di neve.
Eletto dell’Unesco tra le riserve mondiali delle biosfere (aree di ecosistemi terrestri in cui si associa la conservazione dell’ecosistema e la sua biodiversità con l’utilizzo sostenibile delle risorse naturali) è stato il primo vulcano al mondo ad essere studiato sistematicamente, nonché quello più movimentato. Fa parte del sistema montuoso Somma-vesuviano, e si trova ad una decina di km dal capoluogo campano. Un colpo d’occhio bellissimo sul paesaggio del golfo di Napoli, ormai associato all’immagine della città partenopea.
E’ un vulcano dal ciclo eruttivo che si ripete sempre uguale dal 1631 e che dura in media 30-35 anni. Ciclo eruttivo che pare esservi fermato, poichè l’ultima eruzione è stata nel 1944.
Nel 2001 una ricerca condotta dall’università di Napoli e di Nizza ha rilevato che a circa otto chilometri sotto la superficie del vulcano è presente un accumulo di magma che si estende per circa 400 km quadrati. Per questo si aspettano una ripresa del ciclo in qualsiasi momento ed il Vesuvio è uno dei vulcani più monitorati al mondo.
Ecco. Abbiamo scalato un vulcano che potrebbe svegliarsi da un momento all’altro. Fino alla cima, fino ad affacciarsi sulla sua bocca, con i suoi 11 km di diametro.
Una continua salita, un’ora di emozionante cammino, le pareti del vulcano da un lato, il golfo di Napoli dall’altro, col suo mare e la sua splendida costiera. C’era la neve sulla strada, sulla terra, eppure le sue pareti fumavano, e la terra era caldo, quasi bollente al tocco. Per questo la neve, ben presente sulle strade alle sue pendici, lì si faceva sempre più rara, sciolta. C’è un forte odore di zolfo lassù, e nel silenzio totale, sembra quasi di sentire la sua voce, quella del vulcano. Racconta di rabbia. O almeno, questo ha raccontato a me. E’ bello stare ad ascoltarlo, nonostante l’inquietudine che si ha addosso, non c’è la sensazione di voler scappare via quando si è lassù, ma quella di volersi immergere in quel luogo, di volerlo capire, di voler restare a guardarlo finchè non ci ha detto tutto.
Purtroppo però il momento di andarsene arriva sempre.
Al ritorno però abbiamo ascoltato altre voci, soprattutto quella di un signore anziano, proprietario di un bar insieme al figlio, che ci ha raccontato di come nel 1944 assistette e fuggì dall’eruzione, che rovinò la sua casa. Storie di vita, di chi la rabbia di quel vulcano l’ha vissuta in prima persona, subendola impotente.
Come sempre si è impotenti di fronte la forza della natura.
E’ stato così bello, che già penso al prossimo vulcano da scalare, che sia ancora più emozionante: l’Etna!